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Contatto con l’essenza

di José Reyes

In questa vita cominciamo a morire molto, molto lentamente e impercettibilmente ma inesorabilmente. Crediamo, o siamo portati a credere che la morte arriva su di noi come l’annientamento totale delle cellule del nostro corpo fisico. Vi è un altro tipo di morte però, chiamata “morte prima della morte “. Sarebbe saggio riflettere su questa idea in quanto è parte della nostra realtà, facciamo finta di nasconderlo come uno che spazza la polvere sotto il tappeto e immagina che la stanza sia completamente pulita. La vera domanda è, che cos’ è che muore in noi col passare del tempo? Quello che muore in noi è il nostro potenziale, la nostra capacità di fare sforzi, in breve, le nostre proprie possibilità. Il tempo scorre su di noi e non riusciamo a notare che questo flusso appassisce il nostro potenziale. Il nostro comportamento, e il modo in cui tendiamo a rispondere alle impressioni della vita in un modo che è così tipicamente nostro, è sempre più automatico ogni giorno. Perdiamo spontaneità e la sostituiamo con abitudini, ad ogni livello, come ad esempio i modi abituali di pensiero, reazioni emotive, simpatie e antipatie, mi piace e non mi piace.

Questi fili di comportamento e le abitudini formano una sorta di rete che ci impedisce continuamente di vedere ciò che ci viene richiesto in ogni situazione della nostra vita, così rispondiamo esattamente come siamo stati programmati a fare. Siamo computer della vita, ci ha programmato e ora deve solo premere un tasto e noi rispondiamo. Tutti gli elementi della nostra educazione sono combinati per produrre questo magnifico programma. I nostri genitori, l’educazione che abbiamo ricevuto, i nostri amici d’infanzia, la nostra classe sociale, ciò che era di moda nella nostra gioventù, gli slogan del nostro tempo, i film e soap opera, le idee che abbiamo letto nei libri e il nostro concetto di dovere, onore, patriottismo, l’orgoglio e l’onestà, il bene e il male, nulla di tutto ciò è nostro! Tutto ciò che è abbiamo imparato è stato inserita in noi per formare un insieme che dà l’impressione di una coerenza ed immutabilità dal di fuori, l’impressione di essere sempre temperato nel processo decisionale, riempito con un alto senso di giustizia e di altre qualità incredibili mirabilmente traboccanti. In età molto precoce la nostra crescita cessa e spesso ci troviamo emotivamente immaturi anche quando siamo persone di successo nella vita, godiamo del riconoscimento da parte degli altri , o del potere e la ricchezza.

Ci sono due forze opposte in noi che costantemente ci spingono in direzioni diverse. Questi sono gli impulsi di essenza e quelli di vita o di esistenza. Ognuno è utile e necessario per noi. Gli impulsi della vita ci obbligano a interagire con i beni materiali, il denaro e la professione. Gli impulsi di essenza d’altra parte, ci conducono verso la spiritualità, verso l’ alto, per dare un senso alla nostra esistenza e cercare il significato della nostra vita. In senso simbolico di questi due impulsi opposti il signor Gurdjieff ha detto che ” all’uomo è stata affidata la cura di un agnello e di un lupo, egli deve essere sempre attento che il lupo non divori l’agnello, ma allo stesso tempo assicurare al lupo di non morire di fame. “Entrambi gli impulsi sono necessari e devono coesistere pacificamente uno accanto all’altro. Sono le due nature in noi che devono essere riconciliate, nonostante la loro opposizione, e ciascuno deve svolgere il suo ruolo corrispondente. Quando ci dedichiamo all’esistenza, viviamo in funzione della vita ed essa diventa un fine in sé. Così è come la nostra parte essenziale muore, come abbiamo detto all’inizio, avviene una “morte prima della morte”, perché se la parte essenziale muore rende la vita inutile, e le nostre manifestazioni reali sono sempre meno e meno. A quel punto un uomo è morto nella vita ed è incapace di sentire il richiamo della sua anima. Ciò non significa che bisogna abbandonare la vita e le sue esigenze, ma di un equilibrio armonioso, e per questo è necessario uno studio continuo ed un’educazione, in altre parole, un’educazione che inizierà dove la precedente si era fermata, ed è quest’ultima che ci potrà portare a rispondere ai nostri bisogni essenziali. Quando parliamo di un vuoto esistenziale in realtà intendiamo un vuoto essenziale. Allo stesso tempo, se lavoriamo e facciamo sforzi per rispondere agli impulsi dell’essenza, un benessere oggettivo si forma in noi, una garanzia che stiamo rispondendo positivamente a ciò che ci viene richiesto. Stiamo alimentando sia l’agnello che il lupo.

Quando Gurdjieff parla di questo lavoro dice che non è necessario per noi “cambiare nulla “, ma di lavorare nel bel mezzo della nostra vita, all’interno delle nostre condizioni. Non è necessario abbandonare tutto e ritirarsi in un monastero, invece, più sono dure le condizioni di vita migliori le probabilità di impegnarsi nel percorso di questo insegnamento. Ci rendiamo conto che la causa principale della nostra infelicità è dentro di noi. Non risiede in altri, o nelle circostanze, dai luoghi, dalle condizioni. La causa è tutta dentro di noi, e se lavoriamo queste cause scompaiono. Ognuno di noi ha il diritto di essere un essere umano normale, ma in qualche modo noi preferiamo vivere a livello sub-umano. Di volta in volta nei suoi scritti Gurdjieff delinea questa condizione in cui l’uomo è abituato a girare le spalle alla sua propria natura e ha dimenticato come vivere come essere umano.


Enneagramma

“Le persone hanno del mondo migliaia di idee diverse, ma manca loro quell’idea generale che permetterebbe di comprendersi l’un l’altro e di determinare subito da quale punto di vista essi intendono considerare il mondo. “È impossibile studiare un sistema dell’universo senza studiare l’uomo. Allo stesso tempo è impossibile studiare l’uomo senza studiare l’universo. L’uomo è un’immagine del mondo. Egli è stato creato dalle medesime leggi che crearono l’insieme del mondo. Se un uomo conoscesse e comprendesse se stesso, conoscerebbe e comprenderebbe il mondo intero, tutte le leggi che creano e che governano il mondo. E inversamente, con lo studio del mondo e delle leggi che lo governano, apprenderebbe e comprenderebbe le leggi che governano anche lui.

 L’enneagramma è un simbolo sacro, un diagramma universale. Dal greco Ennea “nove” e grammean “punti”. L’enneagramma è una bussola per il ricercatore in viaggio dall’illusione verso la Realtà, dalla separazione all’unione. L’enneagramma è un sistema dinamico di nove coordinate e può essere utilizzato per rappresentare ogni processo reale: vegetale, animale, umano, cosmico. Il simbolo dell’enneagramma ha la capacità di applicarsi a vari livelli, poiché esso è un simbolo oggettivo che presenta le leggi della creazione e del mantenimento dell’universo, secondo il principio “come in alto così in basso”; esso si applica al grande come al piccolo. Il disegno dell’enneagramma è stato presentato per la prima volta da Gurdjieff all’inizio del’900 ai suoi studenti aprendo la porta a questo strumento per l’occidente. L’enneagramma permette di osservare come i nostri processi, così come i processi del mondo, prendono forma in armonia con le leggi cosmiche. Tali leggi fondamentali sono la Legge dell’Uno, la Legge del Tre e la Legge del Sette. L’enneagramma mostra l’interazione di queste leggi combinando la fusione ed il dinamismo proprie alla natura della triade e dell’esade.

 

 

Il cerchio rappresenta l’identità del fenomeno o Legge dell’Uno. Il triangolo è il simbolo della triade creativa o Legge del Tre. L’esade è la rappresentazione dell’ordine della manifestazione o Legge del Sette. La prima legge ci mostra come ogni essere e ad ogni processo possiedono una propria identità, come essi siano un tutto integrale in relazione con sé stesso e gli altri. Il lavoro con l’enneagramma in questo caso ci aiuta a scoprire qual’è la vera identità di un fenomeno o  il nostro vero sé, oscurato dal falso. La legge del tre manifesta come ogni fenomeno reale per sorgere ha bisogno di tre forze o principi: attiva, passiva e riconciliante. La legge del sette ci parla di come nulla di ciò che è stato creato rimane statico, ma evolve o involve, secondo sette passaggi fondamentali.

“In senso generale, bisogna comprendere che l’enneagramma è un simbolo universale. Ogni scienza ha un posto nell’enneagramma e può essere interpretata per mezzo dell’enneagramma. Sotto questo rapporto si può dire che un uomo non conosce veramente, cioè non comprende, se non quello che è capace di inserire nell’enneagramma. Ciò che non è in grado di porre nell’enneagramma non lo comprende. Per un uomo che sappia utilizzarlo,l’enneagramma rende libri e biblioteche del tutto inutili; ogni cosa può essere inclusa e letta nell’enneagramma. Un uomo isolato nel deserto che tracci l’enneagramma sulla sabbia, può leggere in esso le leggi eterne dell’universo. Ed ogni volta egli può imparare qualcosa di nuovo, qualcosa che prima ignorava del tutto. L’enneagramma è il geroglifico fondamentale di un linguaggio universale con tanti significati diversi quanti sono i livelli umani. “L’enneagramma è il moto perpetuo, è quel perpetuum mobile che gli uomini hanno cercato dalla più lontana antichità, e sempre invano. Non è poi difficile capire perché essi non abbiano potuto trovarlo. Essi cercavano al di fuori di sé stessi ciò che era in loro; essi cercavano di costruire un movimento perpetuo come si costruisce una macchina, mentre il movimento perpetuo è parte di un altro movimento perpetuo, e non può essere creato separatamente da questo. L’enneagramma è un diagramma schematico del moto perpetuo cioè una macchina dal movimento eterno. Ma naturalmente è necessario sapere come leggere questo diagramma. La comprensione di questo simbolo e la capacità di farne uso dà all’uomo un grandissimo potere. È il moto perpetuo ed è anche la pietra filosofale degli alchimisti.

“La scienza dell’enneagramma è stata tenuta segreta molto a lungo e se ora è, in certo modo, resa accessibile a tutti, lo è solo in forma incompleta e teorica, inutilizzabile in pratica da chiunque non sia stato istruito in questa scienza da un uomo che la possieda.


“ Conoscere vuol dire conoscere tutto, non conoscere tutto vuol dire non conoscere. Per conoscere tutto è necessario conoscere assai poco, ma per conoscere quel poco una persona deve prima conoscere molto”

G.I.Gurdjieff


Sapere ed Essere

ESTRATTO DA “FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO” di P.D.Ouspensky

Durante quasi tutte le sue spiegazioni G. ritornava su un tema che evidentemente considerava della massima importanza, ma che parecchi tra noi avevano molta difficoltà ad assimilare.

“Lo sviluppo dell’uomo, egli diceva, si effettua secondo due linee, ‘sapere’ ed ‘essere’. Ma affinché l’evoluzione avvenga correttamente, le due linee devono procedere insieme, parallele l’una all’altra e sostenersi reciprocamente. Se la linea del sapere sorpassa troppo quella dell’essere, e se la linea dell’essere sorpassa troppo quella del sapere, lo sviluppo dell’uomo non può farsi regolarmente; prima o poi deve fermarsi. “La gente afferra ciò che si intende per ‘sapere’. Si riconosce che il sapere può essere più o meno vasto e di qualità più o meno buona. Ma questa comprensione non viene applicata all’essere. Per essi l’essere significa semplicemente ‘ l’esistenza ‘ che contrappongono alla ‘non esistenza’. Non comprendono che l’essere può situarsi a livelli molto differenti e comportare diverse categorie.

Prendete per esempio l’essere di un minerale e l’essere di una pianta. Sono due esseri differenti. L’essere di una pianta e quello di un animale sono anch’essi due esseri differenti, e così pure l’essere di un animale e quello di un uomo. Ma due uomini possono differire nel loro essere più ancora di quanto un minerale e un animale differiscono tra loro. E questo è proprio ciò che le persone non comprendono. Non comprendono che il sapere dipende dall’essere. E non soltanto non lo comprendono, ma non lo vogliono comprendere. In modo particolare nella civiltà occidentale, si ammette che un uomo possa avere un vasto sapere, che per esempio egli possa essere un illustre sapiente, autore di grandi scoperte, un uomo che fa progredire la scienza, e nello stesso tempo possa essere, ed abbia il diritto di essere, un povero piccolo uomo egoista, cavilloso, meschino, invidioso, vanitoso, ingenuo e distratto. Sembra normale che un professore debba dimenticare dappertutto il suo ombrello. Eppure è proprio questo il suo essere. Ma si ritiene, in occidente, che il sapere di un uomo non dipende dal suo essere. Le persone accordano un valore massimo al sapere, ma non sanno accordare all’essere un valore eguale e non si vergognano del livello inferiore del loro essere. Non si comprende neppure ciò che questo significhi. Non si comprende che il grado del sapere di un uomo è in funzione del grado del suo essere.

“Allorché il sapere sorpassa di troppo l’essere, esso diventa teorico, astratto, inapplicabile alla vita; può anche diventare nocivo, perché invece di servire la vita e aiutare le persone nella lotta contro le difficoltà questo sapere comincia a complicare tutto; di conseguenza non può che apportare nuove difficoltà, nuovi turbamenti ed ogni sorta di calamità che prima non esistevano. “La ragione di ciò è che il sapere, quando non è in armonia con l’essere, non potrà mai essere abbastanza grande, o per meglio dire, sufficientemente qualificato per i reali bisogni dell’uomo. Sarà il sapere di una cosa legato all’ignoranza di un’altra; sarà il sapere del particolare legato all’ignoranza del tutto, il sapere della forma che ignora l’essenza. “Una tale preponderanza del sapere sull’essere può essere constatata nella cultura attuale. L’idea del valore e dell’importanza del livello del l’essere è stata completamente dimenticata. Non si comprende più che il livello del sapere è determinato dal livello dell’essere. Effettivamente ad ogni livello di essere corrispondono determinate possibilità di sapere, ben definite. Nei limiti di un certo ‘essere’ la qualità del sapere non può essere cambiata; solo è possibile l’accumularsi di informazioni di una sola e medesima natura. Un cambiamento della natura del sapere è impossibile senza un cambiamento nella natura dell’essere.

“Preso in sé, l’essere di un uomo presenta molteplici aspetti. Quello dell’uomo moderno si caratterizza soprattutto per l’assenza di unità in se stesso e per l’assenza della benché minima traccia di quelle proprietà che specialmente ama attribuirsi: la ‘lucidità di ‘coscienza’, la ‘volontà libera’, un ‘Ego permanente’ o ‘Io’ e la ‘capacità di fare’. Sì, per stupefacente che ciò possa sembrarvi, vi dirò che la caratteristica principale dell’essere di un uomo moderno, e ciò spiega tutto ciò che gli manca, è il sonno. “L’uomo moderno vive nel sonno; nato nel sonno, egli muore nel sonno. Del sonno, del suo significato e della parte che ha nella vita, parleremo più tardi, ora riflettete soltanto su questo: che cosa può conoscere un uomo che dorme? Se ci pensate, ricordandovi nello stesso tempo che il sonno è la caratteristica principale del nostro essere, subito vi diverrà evidente che un uomo, se vuole realmente conoscere, deve innanzi tutto riflettere sulla maniera di svegliarsi, cioè sulla maniera di cambiare il suo essere.

“In generale l’equilibrio dell’essere e del sapere è anche più importante di uno sviluppo separato dell’uno o dell’altro. Poiché uno sviluppo separato dell’essere o del sapere non è in alcun modo desiderabile. Benché sia precisamente questo sviluppo unilaterale che sembra attrarre particolarmente la gente. “Allorché il sapere predomina sull’essere, l’uomo sa, ma non ha il potere di fare. È un sapere inutile. Al contrario, quando l’essere predomina sul sapere, l’uomo ha il potere di fare, ma non sa che cosa deve fare. Così l’essere che egli ha acquisito non può servirgli a nulla e tutti i suoi sforzi saranno stati inutili. “Nella storia dell’umanità, troviamo numerosi esempi di intere civiltà che perirono sia perché il loro sapere superava il loro essere, sia perché il loro essere superava il loro sapere”.

Il sapere è una cosa, la comprensione è un’altra. Ma la gente confonde spesso queste due idee, oppure non vede nettamente dove sta la differenza. “Il sapere di per sé stesso non dà comprensione. E la comprensione non potrebbe essere aumentata da un accrescimento del solo sapere. La comprensione dipende dalla relazione tra il sapere e l’essere. La comprensione risulta dalla congiunzione del sapere e dell’essere. Di conseguenza l’essere ed il sapere non debbono divergere troppo, altrimenti la comprensione risulterebbe molto distante dall’uno e dall’altro. Ripetiamo: la relazione tra il sapere e l’essere non cambia per un semplice accrescimento del sapere. Essa cambia solamente quando l’essere cresce parallelamente al sapere. In altri termini, la comprensione non cresce che in funzione dello sviluppo dell’essere. “Le persone, sovente confondono questi concetti e non afferrano chiaramente quale è la differenza tra di essi. Pensano che se si sa di più, si deve comprendere di più. Questo è il motivo per cui esse accumulano il sapere o quello che chiamano così, ma non sanno come si accumula la comprensione e non se ne preoccupano. “Tuttavia una persona esercitata all’osservazione di sé, sa con certezza che in differenti periodi della sua vita ha compreso una stessa idea, uno stesso pensiero, in modo totalmente diverso. Sovente le sembra strano, di aver potuto comprendere così male ciò che adesso crede di comprendere così bene. E, ciononostante, si rende conto che il suo sapere è rimasto lo stesso, e che oggi non sa niente più di ieri. Che cosa dunque è cambiato? È il suo essere che è cambiato. Quando l’essere cambia, anche la comprensione deve cambiare.

“La differenza tra il sapere e la comprensione ci diventa chiara quando ci rendiamo conto che il sapere può essere funzione di un solo centro. La comprensione, invece, risulta dalla funzione di tre centri. Così l’apparecchio del pensiero può sapere qualcosa. Ma la comprensione appare soltanto quando un uomo ha il sentimento e la sensazione di tutto ciò che si ricollega al suo sapere. “Non vi è nulla nel mondo, dal sistema solare fino all’uomo e dall’uomo fino all’atomo, che non salga o non scenda, che non si evolva o non degeneri, che non si sviluppi o non decada. Ma nulla si evolve meccanicamente. Solo la degenerazione e la distruzione procedono meccanicamente. Ciò che non può evolversi coscientemente, degenera. L’aiuto esterno non è possibile che nella misura in cui è apprezzato e accettato, anche se esso lo è all’inizio solo dal sentimento. “Il linguaggio che permette la comprensione, si basa sulla conoscenza del rapporto dell’oggetto che si esamina con la sua evoluzione possibile, sulla conoscenza del suo posto nella scala evolutiva. “A questo fine, un gran numero delle nostre idee comuni sono divise in conformità agli stadi di questa evoluzione.


Rendere attiva l’essenza

di Josè Reyes 

6 ottobre 2010

3ème Millénaire n.87 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini

3m. Se osservo il mio comportamento durante le attività della giornata, costato a che punto sono reattivo, in reazione. In più queste reazioni sono molto spesso negative: paura, collera o irritazione, resistenza a ciò che mi è chiesto, inerzia, tensioni fisiche! Sono totalmente identificato in quegli stati…E’ questa la realtà?

J.R. Si, è la realtà. Generalmente guardiamo il mondo e gli eventi secondo il colore delle nostre lenti. Possiamo perciò veramente dire che è la realtà, ma bisogna precisare che si tratta di una realtà soggettiva. Per vedere che cosa è reale, non dobbiamo essere identificati. Infatti l’identificazione impedisce il contatto con la realtà e diventiamo la nostra propria realtà soggettiva. In altre parole, le mie emozioni negative per me sono vere, finché sono identificato con loro.

La prima cosa da vedere prima di essere capaci di distinguere la realtà, è quella di trovarci in uno stato di separazione a partire dal quale si può spingere il nostro centro di gravità verso l’osservatore, che è un processo sociologico che non è centrato né nei pensieri, né nei sentimenti, né nelle sensazioni. E’ il significato del lavoro su di sé, per il quale cominciate a discriminare due stati di comportamento. Il primo è quello in cui siete completamente assorbiti da un pensiero, un sentimento o una sensazione (e diventate uno con quel pensiero, quel sentimento, quella sensazione); nel secondo, potete vedere nello stesso tempo lo stato in cui siete e voi stessi.

3m. Essere a un livello d’osservazione attraverso cui possiamo vedere noi stessi e al tempo stesso il nostro comportamento è insolito nella vita ordinaria. Come posso sperimentare questo stato d’essere specifico nella mia vita quotidiana? C’è una strada da seguire?

J.R. Si, dovete diventare un uomo n.4. Finché siete un uomo 1, 2 o 3*, la vostra osservazione di voi stessi sarà sempre colorata dalla percezione del centro dove si trova stabilito il vostro centro di gravità. Il modo in cui vediamo il nostro comportamento è dunque sia attraverso il centro intellettuale sia attraverso le emozioni. Gurdjieff diceva che la percezione con un solo centro è follia, con due centri è allucinazione.

Secondo il nostro Insegnamento (la Quarta Via) l’uomo n. 4 è quello che, grazie al lavoro su di sé ha raggiunto uno stato d’equilibrio dei 3 centri. Questo significa che le sue funzioni sono ora coordinate armoniosamente per potere nutrire l’essenza. Così diventa maturo rispetto alle sue emozioni.

Per chiarire ciò che si sta dicendo, si può fare un’analogia con una casa: lasciata nel caos più totale il cui padrone è assente e dove ogni domestico si chiama Io. Questa casa ha tre livelli. I servitori più intelligenti decidono di eleggere uno di loro al quale tutti devono ubbidire. Questo servitore si chiama anche lui Io, ma non è ancora il vero Io. Comincia a imparare l’Insegnamento, il Lavoro, il funzionamento della casa e realizza che non è che è un amministratore temporaneo, ma non il vero amministratore. Solo quest’ultimo può dirigere la casa e preparare il posto per la venuta del vero Io.

La seconda tappa è quella che chiamiamo l’osservazione di sé, che è l’inizio della comprensione di sé. Questo osservatore è il vero amministratore ed è con l’osservazione che pratica che può cominciare a rafforzare la capacità di separazione tra i me ordinari che abitano ciascuno dei centri. Così prepara la casa all’arrivo dell’Io reale.

3m. Questo insegnamento ricorda la nozione della falsa e vera personalità. Qual è la differenza tra le due personalità? Per andare più lontano, per diventare un uomo n. 4 occorre la scomparsa della falsa personalità? Come la falsa e la vera personalità si legano alla molteplicità dei me, all’amministratore provvisorio e al vero Io?

J.R. C’è una grande differenza tra falsa e vera personalità. La falsa personalità ha una relazione molto ampia con l’ego della persona. Noi agiamo in modo che la gente non dica male di noi, oppure ci comportiamo in modo tale che non pensino che bene di noi.

La personalità pretende e cerca in permanenza d’essere quello che non è. Questo è chiamato la nullità, perché si tratta di un’immagine di noi stessi che abbiamo costruito, basata interamente sull’immaginazione. Con la falsa personalità vogliamo sempre che la gente ci dia valore per qualcosa che non siamo. Mentiamo su noi stessi agli altri e crediamo alle nostre menzogne.

La falsa personalità è molto difficile da distruggere, perché la maggior parte delle abitudini contratte dai centri è stata creata dalle loro scappatoie e vi corrispondono.

La personalità, riguardo a lei, non è totalmente negativa, non esiste solo a nostro svantaggio; al contrario, è necessaria, ma al posto giusto. La personalità è il nostro sapere, la nostra esperienza, l’addestramento che abbiamo ricevuto, il modo in cui ci prendiamo in carico, e quella in cui rispondiamo alle esigenze della vita. Il problema è che questa personalità agisce nella vita senza partecipazione della nostra essenza. Per ogni attività della giornata lei prende l’iniziativa. La sede della personalità è situata nell’apparecchio formatore*, e questo ha per conseguenza che essa utilizza parole o argomenti in risposta alle situazioni nelle quale ci pone la vita.

La Quarta Via ci procura dei mezzi che possiamo utilizzare per ribaltare la situazione, in altre parole permettere all’essenza di diventare attiva e di rendere passiva la personalità. Questo affinché l’essenza possa usare la personalità secondo le necessità del momento, secondo quanto è richiesto in una data situazione. E’ la tappa dell’uomo n.4 nel quale i centri sono equilibrati. Ciò significa che l’iniziativa nella sua totalità è presa dal vero Io. A questo livello l’ego non detta più il suo comportamento alla persona. L’ego scompare giacché la persona non vive più in apparenza e la nullità non ha più bisogno di pretendere d’essere, poiché la persona “è”.

I diversi me vengono dai centri. Ci sono me intellettuali, emozionali e psichici. Questi me nella loro molteplicità sono chiamati i servitori della casa. L’amministratore transitorio è uno di quei me, generalmente situato  al livello del centro intellettuale ed è lui che impara il Lavoro e cerca di applicarlo. Ma manca di forza ed è particolarmente debole quando due o tre altri me arrivano insieme e non si assoggettano a tutto quello che il Lavoro può dire di fare.

D’altra parte, il vero amministratore non è più uno dei me. Egli è prodotto dall’osservazione di sé e deriva dallo sguardo  sulla realtà della nostra imparzialità. Non è fatto dello stesso materiale dei me inferiori che non dispongono di un reale controllo sui centri. L’amministratore invece ha un controllo totale sul funzionamento di ciascuno dei centri, per l’energia prodotta dal ricordo di sé. Per questo è detto che prepara la casa per l’arrivo del vero Io, il suo vero proprietario.

3m. Il processo che descrivete conduce all’idea di una scala nei livelli di realtà, cioè dove ciascuno sperimenta la realtà secondo il suo livello. Questi livelli si riferiscono a energie di sottigliezza variabile, come per esempio quella derivata dal ricordo di sé?

J.R. Si, la realtà è percepita in funzione del livello di energia che siamo capaci di produrre, di nutrire e di mantenere.

Se applichiamo questo alla nostra vita quotidiana, possiamo facilmente costatare che il nostro umore dipende molto dall’energia di cui disponiamo secondo i momenti. Quando siamo contenti, tutto appare come su un letto di rose, ma quando siamo di cattivo umore, non abbiamo che le spine.

Ogni energia ci dà una capacità più o meno grande di percepire la realtà, che può essere altamente soggettiva per quelli il cui livello di energia è così basso che non vedono altro che il proprio stato.

E’ il caso dell’uomo macchina che vede le cose unicamente con l’energia automatica. Il livello seguente è quello della libera sensibilità, in cui diventate sensibili alle impressioni e coscienti di voi mentre le ricevete. Così non siete solo nell’atto di ascoltare, ma udite, non state solo guardando, ma vedete, non state solo mangiando, ma avete anche il gusto di ciò che mangiate. Non toccate solamente, ma  sentite ciò che toccate. Perché disponete di un’energia nuova, più organizzata dell’energia automatica, quella unicamente basata sulle reazioni, l’essere attirati o il rigetto, il fatto di amare o non amare questo o quello. Al livello della sensibilità, cominciate a essere il padrone delle vostre impressioni. Il livello energetico seguente è quello dell’energia cosciente, in altre parole è il processo cosciente al quale partecipate e per il quale cominciate a dare senso e significato alla vostra vita L’energia cosciente è molto speciale. Contrariamente a quelli che dicono “sono cosciente”, è più appropriato dire che partecipo alla coscienza.

Note.

“ Gli uomini n.1, 2, 3 costituiscono l’umanità meccanica, sono al livello di quando sono nati. L’uomo n.1 ha il centro di gravità della sua vita psichica nel centro motore… L’uomo n.2 nel centro emozionale… L’uomo n.3 nel centro intellettuale… L’uomo n.4 ha un centro di gravità permanente, in lui un centro non può avere sugli altri una preponderanza.”( P. D. Ouspensky. Frammenti di un Insegnamento sconosciuto).

Apparecchio formatore. “La parte meccanica del centro intellettuale porta un nome speciale. Se ne parla a volte come di un centro separato e in quel caso è chiamato apparecchio formatore. Una delle particolarità è che non può paragonare che due cose, non può pensare che in termini di estremi e cerca subito il contrario”( Ouspensky).


Personalita’ ed essenza

di Josè Reyes

3ème Millénaire n. 86 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini [202]

3m. Se osservo il mio comportamento nella vita quotidiana, constato subito un certo automatismo nelle reazioni. Esso sembra sempre attivarsi, davanti ad un dato avvenimento, con la stessa modalità, lo stesso schema di risposta. C’è una ragione per questo?

J.R. Si, c’è una ragione ed è una buona ragione. Se dovessimo rispondere con coscienza ad ogni stimolo della vita, non avremmo abbastanza coscienza per esserne capaci. La meccanicità ci permette di rispondere a molte situazioni della vita automaticamente ed è una buona cosa. La personalità è fatta per questo, cioè per rispondere alle situazioni della vita in modo automatico. Non ci sono sforzi da fare, in ogni momento, per rispondere con spontaneità ad una situazione data quando conoscete già la risposta appropriata, perché la situazione si è già presentata. Ora, il problema è il seguente: la macchina umana, che possiamo chiamare così perché dotata dell’energia automatica dei centri, ha preso l’iniziativa. E l’essenza, che è la parte reale di noi stessi, è diventata passiva. Così, oggi rispondiamo a tutto ciò che si presenta attraverso la personalità, con un meccanismo. Le esperienze che abbiamo non si fondono con la parte di noi che è importante. Pertanto quell’equilibrio può essere ribaltato, se è la personalità che guida. Questa si mette in opera verso i sei o sette anni ed è attraverso di lei che cominciamo ad esprimerci. Siccome non riceviamo un’educazione giusta, l’essenza rimane passiva fin dall’inizio. La sede della personalità  è nel cervello, nella testa; lì è l’apparecchio formatore. La sede dell’essenza è nelle emozioni. Siccome non siamo stati educati sul piano emozionale, l’essenza non ha nessuna possibilità di trovarsi in contatto con la vita. La personalità diventa attiva e prende forza sempre di più e nello stesso tempo l’essenza diventa passiva. Questa è oggi la situazione.

3m. L’inizio di tutto è dunque in un’educazione impropria. C’è modo di rimediare a tutto questo?

J.R. Il problema è che per educare i bambini, noi adulti dobbiamo essere educati. Noi siamo arrivati a credere che il solo bisogno dei bambini fosse un’educazione intellettuale. Li mandiamo nei collegi migliori, nelle migliori università e loro ottengono un master, poi un dottorato, ecc. Crediamo che sia solo necessaria un’educazione intellettuale. Dobbiamo cominciare con noi stessi, con la realizzazione che dobbiamo veramente sviluppare le nostre emozioni, voglio dire le emozioni positive. Perché le emozioni negative sono lì! Dobbiamo cominciare a vedere che cosa sono le emozioni. Prima di tutto studiare come reagiamo, come rispondiamo emozionalmente agli avvenimenti, vedere come siamo immaturi sul piano emozionale. Studiando, osservando, cominciamo ad apprendere. Il sistema di sviluppo della Quarta Via si basa sullo sviluppo emozionale dell’uomo. Questo sviluppo accompagna quello delle facoltà e delle possibilità del corpo. Perché noi non abbiamo scoperto il tesoro che si trova nel corpo umano. Leggiamo per esempio in un negozio che il tale o il talaltro cibo ci fa bene. Ma questo è solo nella testa! Dobbiamo veramente avere il contatto col corpo in tutti i modi possibili. Il corpo ha una sua memoria, un suo modo di essere in relazione con gli altri, ha una vita propria. Dobbiamo andare in ogni sua parte. Se immaginiamo di vivere in una casa a tre piani, siamo a pianterreno, senza conoscere gli altri piani. E lì spesso si trovano gli altri modi di percepire. Abbiamo questa possibilità, di percepire in modo differente il mondo. Ma, ecco, siamo dei sottosviluppati ed è lì che si trova la causa della nostra miseria e sofferenza. Non è perché siamo meccanici. E’ perché reagiamo a tutto quanto succede in modo meccanico.

3m. Ma la meccanicità ci porta al tempo stesso a desiderare di non lasciare il conosciuto, a non voler visitare gli altri piani, malgrado il desiderio di eliminare la sofferenza, di essere pacificati.

J.R. Il primo problema dell’umano è la paura dell’incerto. La mente ama le cose che già conosce. Non appena cade su qualcosa di differente, di sconosciuto, la mente lo rifiuta. La paura è quella del futuro. Cosa succederà domani? Forse mancherà il denaro? Perderemo la casa o il lavoro? Abbiamo paura del futuro, preferiamo assestarci sul presente, e questo ci dà un senso di sicurezza. Viviamo come poveri, mentre abbiamo il potenziale di essere veri umani, ma abbiamo paura dell’ignoto. Qualunque cosa si dice alla gente, a meno che non abbia avuto esperienza di quel profumo di vita e al tempo stesso della sua mancanza di gioia e che c’è qualcosa di meglio, niente è possibile. Cristoforo Colombo, per fare quello che ha fatto ha preso della gente speciale, insoddisfatta dello status quo. Gente che non poteva stare dov’era e cercava qualcosa di differente. Quella passione viene dal cuore. Abbiamo bisogno di un centro magnetico perché è quello che crea delle persone che cercano altri modi per svilupparsi. In generale, quando parlate alle persone, non capiscono di cosa parli, dicono che stanno bene così; molto poche vogliono fare un passo avanti.

3m. Per andare al di là della meccanicità, è necessario avere in partenza quel gusto dell’ignoto, quell’intuizione che qualcosa è possibile in altro modo?

J.R. E’ come per ogni  situazione della vita. Quando siamo piccoli speriamo sempre che qualcosa accada, che cambierà la situazione. Reclamiamo con nostra madre. Poi vediamo che non è possibile. Poi ci si dice: “molto bene, quando la scuola sarà finita, tutto andrà meglio”. Ma una volta finita la scuola, ci si rende conto che non è cambiato niente. Poi il college, poi il lavoro… “quando sarò indipendente, andrà meglio. Poi mi sposo ed è perfetto”. Poi i bambini. Aspettiamo tutto il tempo che qualcosa cambi la nostra vita. Non realizziamo che non è l’esterno che cambia le cose, ma che questo deve venire da dentro. La gente dice: “vado in un paese diverso e finalmente là sarò felice”. Ma portate voi stessi come siete. Per prima cosa, non è cambiare posto, ma lasciar indietro se stessi. E diventate capaci di cambiare le cose. Non sono le condizioni esterne che ci devono cambiare, ma il nostro modo di percepire la realtà, la vita.

3m. Ci sono ostacoli interni, nodi emotivi, che sono cose grosse di fronte a noi. Come sciogliere quei nodi che ci costringono alla meccanicità? Il lavoro su di sé permette all’energia di crescere. Ma, arrivati a un certo stadio, la disperdiamo totalmente con un ritorno di fiamma alla personalità, ai suoi desideri, alle sue pulsioni…

J.R. Comprendo. Quei nodi sono tutti emotivi. Sono messi da piccoli. Chiamiamoli traumatismi. Un trauma è come un taglio. Qualcosa si è inscritto nelle emozioni. Nell’infanzia siamo feriti molto profondamente. Nascondiamo questo e quando intanto diventiamo adulti, non possiamo attribuire il nostro comportamento a quegli avvenimenti della nostra infanzia. Non ne vediamo l’origine, non percepiamo che il nostro comportamento, le nostre reazioni, le nostre risposte alle situazioni della vita. Questo viene da ciò che chiamate i nodi, i traumi. Ciò che è importante è che i traumi sono stati messi artificialmente nel nostro emozionale, si nutrono delle nostre emozioni, ne hanno bisogno. Quei comportamenti assorbono la vostra attenzione. E voi dite: “è reale, è quel che sono, sono io”. Ma non è vero, non è la realtà. E’ solo una parte di voi, e questo non fa che rispondere a un trauma, un condizionamento dell’infanzia. Se cominciamo a ritirare la nostra attenzione dai comportamenti, se mettiamo la nostra attenzione a un posto più appropriato, in uno stato di coscienza, diventiamo capaci di percepire, di vedere noi stessi. Appare l’osservatore. Cominciamo a vedere che quei traumi nell’osservatore non esistono. L’osservatore è libero da loro. I traumi non esistono che nel nostro sé inferiore. E’ lì che si manifestano. Se passiamo ad un più alto stato di coscienza, non possono agire, perché la nostra attenzione non è disponibile per loro. L’attenzione è come l’acqua che può permettere ai condizionamenti di crescere e di avere radici molto profonde nella nostra psiche.  Se chiudete l’acqua, che è la vostra attenzione, e la versate da un’altra parte, quei traumi cominciano a morire, a perdere il loro potere. Ma la gente pensa che parlandone si possano eliminare.

3m. E’ la questione dell’analisi psicanalitica…

J.R. Si. Quello non può essere realizzato con la parola. Perché quell’azione si svolge dentro di voi, è la vostra attenzione che va da una parte verso un’altra. E generalmente questa seconda parte è più rilassata, è nel corpo. La vostra attenzione si porta nel corpo e andate sempre più verso un rilassamento del corpo. E lasciando che il rilassamento si faccia nel corpo, anche le vostre emozioni si rilassano. Tutti quei comportamenti derivati dai traumi, si manifestano con tensioni, e producono reazioni. Sono le tensioni che generano reazioni.

3m. E poi la reazione è più rapida della testa, non la si vede.

J.R. Infatti. E tutte quelle reazioni assorbono energia che sarebbe molto utile. Le energie se ne vanno per nutrire quello stato artificiale. Allora abbiamo meno opportunità di trasformarci, perché abbiamo meno energia. Abbiamo bisogno di energia di buona qualità per trasformarci, migliore di quella dell’energia puramente meccanica.

3m. Questa trasformazione necessita di un’energia più fine, ma non c’è solo la questione della qualità, ma c’è anche quella della quantità. Qualità e quantità sono entrambe necessarie insieme?

J.R. L’energia dell’attenzione è legata all’energia della sensitività. Una sensibilità libera offre la possibilità di una maggiore quantità d’attenzione. Certo, se c’è la qualità, ma manca la quantità, perdete la qualità. Dovete essere capaci di avere la vostra attenzione sotto controllo più a lungo. Perché l’attenzione è sempre stimolata da ciò che accade fuori. Potete guardare un film per due ore e mezzo e la vostra attenzione è catturata dallo schermo. Ma è un’attenzione automatica, che non ha niente a che fare con l’attenzione che dovete mantenere attraverso voi stessi. Abbiamo bisogno di sviluppare un’attenzione libera e questa deve essere diretta. Dirigo la mia attenzione al mio corpo, per esempio, alla mia respirazione e quella respirazione ha una qualità di presenza differente. Dal momento in cui la mia attenzione è libera dalle associazione del pensiero, dalle associazioni mentali che si fanno da sole, la qualità della mia presenza si modifica. Divento più me stesso, sono più cosciente di me stesso. Quanto tempo posso mantenere questo? Dipende da ciò che ho fatto prima. Se non faccio niente, nessuna meditazione, nessuna osservazione, nessun movimento, allora non è possibile niente.

3m. Se mettiamo l’attenzione sul corpo, questo è possibile per un certo tempo e allora l’ego è privo di energia. Ma una volta che l’attenzione torna al livello ordinario, l’ego e le sue manifestazioni ricompaiono, forse anche più forte se l’ego avverte che la sua fine è prossima. Quando ritorna si dice: la via è libera, festeggiamo! E’ un ostacolo pesante in questo lavoro, un po’ come Sisifo che, quasi giunto a spingere il suo roccione in cima alla montagna, lo vede rotolare giù…

J.R. Passiamo dalla personalità, quando dormiamo, quando siamo nel funzionamento automatico, a più essenza quando ci svegliamo. Siamo più vicini all’essenziale. Dunque la prima tappa per svegliarci è liberare la nostra attenzione. Dovete essere attenti a dove si trova l’attenzione, perché viaggia nel corso della giornata. E’ su un pensiero, poi su un altro. Poi arriva un’emozione e attira l’attenzione. Poi abbiamo fame e l’attenzione è sulla fame. Tra quei momenti in cui l’attenzione viaggia dall’uno all’altro, possiamo dirigerla intenzionalmente. Basta la mano sinistra: dirigo l’attenzione verso la mano sinistra, e anche mentre vi parlo o analizzo una o l’altra cosa, una parte dell’attenzione è sulla mano sinistra. Questo mi pone in uno stato differente. Se questo se ne va, cosa che avviene di sicuro, continuo a parlare, ma dormo. Infatti non sono lì. La mia attenzione è imprigionata nel processo che si svolge, qualunque esso sia. Ma quando dirigo l’attenzione, non sono più intrappolato. L’osservatore è lì, perché metto la sensazione e la libera attenzione. Dunque, ogni volta che la vostra attenzione è libera, sperimentate uno stato differente da quello in cui la vostra attenzione è intrappolata. In questo modo cominciate a imparare: quando fate certe cose, la vostra attenzione è legata, in altre siete più liberi, più capaci di vedere la vostra vita in una prospettiva più ampia. Vedete i momenti in cui non siete identificati con la situazione e la vostra coscienza è più aperta e più distesa. Nella misura in cui la vostra attenzione è imprigionata nella meccanicità, la vita non ha alcun senso. Siete solo una macchina reattiva.

3m. Quando proponete di portare l’attenzione per esempio sulla mano sinistra, è la testa che prende la decisione. E’ ancora un processo mentale?

J. R. Si, è l’inizio. Prima vi ricordate di fare quello. La prima tappa è realizzare che la mia attenzione è intrappolata. Dove sono? Siete nei pensieri o nell’emozione. Nel momento in cui ve lo domandate, comincia il cambiamento. Ora oriento il pensiero alla mano sinistra. Si, è con la testa. Ma ora sono a contatto con la sensazione. Il pensiero e la sensazione lavorano insieme. Due centri sono insieme. Non sto pensando a ciò che accade, ma tengo l’attenzione sulla mano. Poi arriva l’emozione e comincia a partecipare al processo. Comincio a ricordarmi di me stesso. Questo ricordarsi di sé ha molti strati, come una cipolla. Cominciate dallo strato più superficiale, dite vado sulla mano, poi sulla respirazione, sugli occhi…Guardate ciò che vedete e avete una prospettiva, siete coscienti di vedere le cose, in una visione diversa, siete coscienti della loro profondità. E così col gusto, o l’udito. Tutte le vostre facoltà sono nel presente. Allora avete il piacere di quel ricordarsi di sé, che può essere molto profondo e portarvi fino a Dio.