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Enneagramma

“Le persone hanno del mondo migliaia di idee diverse, ma manca loro quell’idea generale che permetterebbe di comprendersi l’un l’altro e di determinare subito da quale punto di vista essi intendono considerare il mondo. “È impossibile studiare un sistema dell’universo senza studiare l’uomo. Allo stesso tempo è impossibile studiare l’uomo senza studiare l’universo. L’uomo è un’immagine del mondo. Egli è stato creato dalle medesime leggi che crearono l’insieme del mondo. Se un uomo conoscesse e comprendesse se stesso, conoscerebbe e comprenderebbe il mondo intero, tutte le leggi che creano e che governano il mondo. E inversamente, con lo studio del mondo e delle leggi che lo governano, apprenderebbe e comprenderebbe le leggi che governano anche lui.

 L’enneagramma è un simbolo sacro, un diagramma universale. Dal greco Ennea “nove” e grammean “punti”. L’enneagramma è una bussola per il ricercatore in viaggio dall’illusione verso la Realtà, dalla separazione all’unione. L’enneagramma è un sistema dinamico di nove coordinate e può essere utilizzato per rappresentare ogni processo reale: vegetale, animale, umano, cosmico. Il simbolo dell’enneagramma ha la capacità di applicarsi a vari livelli, poiché esso è un simbolo oggettivo che presenta le leggi della creazione e del mantenimento dell’universo, secondo il principio “come in alto così in basso”; esso si applica al grande come al piccolo. Il disegno dell’enneagramma è stato presentato per la prima volta da Gurdjieff all’inizio del’900 ai suoi studenti aprendo la porta a questo strumento per l’occidente. L’enneagramma permette di osservare come i nostri processi, così come i processi del mondo, prendono forma in armonia con le leggi cosmiche. Tali leggi fondamentali sono la Legge dell’Uno, la Legge del Tre e la Legge del Sette. L’enneagramma mostra l’interazione di queste leggi combinando la fusione ed il dinamismo proprie alla natura della triade e dell’esade.

 

 

Il cerchio rappresenta l’identità del fenomeno o Legge dell’Uno. Il triangolo è il simbolo della triade creativa o Legge del Tre. L’esade è la rappresentazione dell’ordine della manifestazione o Legge del Sette. La prima legge ci mostra come ogni essere e ad ogni processo possiedono una propria identità, come essi siano un tutto integrale in relazione con sé stesso e gli altri. Il lavoro con l’enneagramma in questo caso ci aiuta a scoprire qual’è la vera identità di un fenomeno o  il nostro vero sé, oscurato dal falso. La legge del tre manifesta come ogni fenomeno reale per sorgere ha bisogno di tre forze o principi: attiva, passiva e riconciliante. La legge del sette ci parla di come nulla di ciò che è stato creato rimane statico, ma evolve o involve, secondo sette passaggi fondamentali.

“In senso generale, bisogna comprendere che l’enneagramma è un simbolo universale. Ogni scienza ha un posto nell’enneagramma e può essere interpretata per mezzo dell’enneagramma. Sotto questo rapporto si può dire che un uomo non conosce veramente, cioè non comprende, se non quello che è capace di inserire nell’enneagramma. Ciò che non è in grado di porre nell’enneagramma non lo comprende. Per un uomo che sappia utilizzarlo,l’enneagramma rende libri e biblioteche del tutto inutili; ogni cosa può essere inclusa e letta nell’enneagramma. Un uomo isolato nel deserto che tracci l’enneagramma sulla sabbia, può leggere in esso le leggi eterne dell’universo. Ed ogni volta egli può imparare qualcosa di nuovo, qualcosa che prima ignorava del tutto. L’enneagramma è il geroglifico fondamentale di un linguaggio universale con tanti significati diversi quanti sono i livelli umani. “L’enneagramma è il moto perpetuo, è quel perpetuum mobile che gli uomini hanno cercato dalla più lontana antichità, e sempre invano. Non è poi difficile capire perché essi non abbiano potuto trovarlo. Essi cercavano al di fuori di sé stessi ciò che era in loro; essi cercavano di costruire un movimento perpetuo come si costruisce una macchina, mentre il movimento perpetuo è parte di un altro movimento perpetuo, e non può essere creato separatamente da questo. L’enneagramma è un diagramma schematico del moto perpetuo cioè una macchina dal movimento eterno. Ma naturalmente è necessario sapere come leggere questo diagramma. La comprensione di questo simbolo e la capacità di farne uso dà all’uomo un grandissimo potere. È il moto perpetuo ed è anche la pietra filosofale degli alchimisti.

“La scienza dell’enneagramma è stata tenuta segreta molto a lungo e se ora è, in certo modo, resa accessibile a tutti, lo è solo in forma incompleta e teorica, inutilizzabile in pratica da chiunque non sia stato istruito in questa scienza da un uomo che la possieda.


“ Conoscere vuol dire conoscere tutto, non conoscere tutto vuol dire non conoscere. Per conoscere tutto è necessario conoscere assai poco, ma per conoscere quel poco una persona deve prima conoscere molto”

G.I.Gurdjieff


Carrozza, Cavallo e Cocchiere.

di G.I.GURDJIEFF

Prima Conferenza

Differenze, conformi alle leggi, nelle manifestazioni dell’individualità umana

(letta per l’ultima volta al Neighbourhood Playhouse New York, gennaio 1924)

Risulta, sia dalle indagini di molti sapienti dell’antichità, sia dalle ricerche svolte con metodi veramente eccezionali dall’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo del signor Gurdjieff, che – in conformità alle leggi superiori e alle condizioni del processo della vita umana stabilitesi sulla Terra sin dall’inizio e fissatesi poco a poco – l’individualità integrale di ogni uomo, qualunque sia l’eredità di cui è il risultato nonché le condizioni accidentali della sua comparsa e del suo sviluppo, deve, sin dall’inizio dell’età responsabile, per rispondere al senso e alla predestinazione della sua esistenza come uomo e non come semplice animale, deve, ripeto, essere necessariamente costituita di quattro personalità ben determinate e distinte.

La prima personalità indipendente non è altro che l’insieme del funzionamento automatico – tipico dell’uomo come degli animali – i cui dati sono costituiti vuoi dalla somma totale dei risultati delle impressioni ricevute sin dalla nascita e provenienti sia dalla realtà esterna sia da ciò ch’è stato intenzionalmente e artificialmente inculcato in loro, vuoi dai risultati del processo, anch’esso inerente ad ogni animale, detto “sognare a occhi aperti”, o “fantasticare”. La totalità di questo funzionamento automatico viene chiamato per ignoranza da quasi tutta la gente “conscio”, o nel migliore dei casi, “pensiero”.

La seconda personalità, che spesso funziona in modo del tutto indipendente dalla prima, è costituita dalla somma dei risultati dei dati che si depositano e si fissano nella presenza dell’uomo – come di ogni animale – attraverso i sei organi “ricettori delle vibrazioni di qualità differenti”, organi che funzionano in base alle nuove impressioni percepite e la cui sensibilità dipende dall’eredità e dalle condizioni in cui è avvenuta la formazione preparatoria a un’esistenza responsabile.

La terza parte indipendente di un essere integrale è costituita sia dal funzionamento di base del suo organismo, sia dal gioco delle manifestazioni riflesso-motorie reciprocamente interagenti al suo interno, manifestazioni la cui qualità dipende, a sua volta, dall’eredità e dalle circostanze della formazione preparatoria di ogni essere.

La quarta personalità dell’uomo, che pure dovrebbe rappresentare una parte distinta dell’individuo integrale, non è altro che la manifestazione dell’insieme dei risultati del funzionamento ormai automatizzato delle tre personalità precedenti, formatesi separatamente ed educate in modo indipendente: in altri termini, è ciò che gli esseri chiamano “io”.

Nella presenza generale dell’uomo, per la spiritualizzazione e la manifestazione di ognuna delle tre parti separatamente formate del suo tutto integrale, esistono le cosiddette “localizzazioni centri-di-gravità” indipendenti, o cervelli; ed ogni localizzazione con tutto il suo sistema possiede, per l’insieme delle sue manifestazioni, certe particolarità e predisposizioni che sono proprie a lei sola. Pertanto, affinché sia possibile il perfezionamento integrale dell’uomo, è assolutamente necessario che ognuna delle tre parti riceva l’educazione che le conviene, e non il trattamento che ai nostri giorni viene loro inflitto sotto il nome, appunto, di “educazione”. Solo allora l”io ” che deve esistere nell’uomo sarà il suo vero “Io”.

Secondo le ricerche sperimentali di cui vi ho parlato, condotte per molti anni con la massima serietà e persino secondo una riflessione sana ed imparziale, accessibile anche all’uomo contemporaneo, non soltanto la presenza generale dell’uomo – soprattutto di quello che, per qualche ragione, è convinto di non essere un uomo comune ma un “intellettuale” nel vero senso della parola – dev’essere composta da quelle quattro personalità ben definite e distinte, ma ogni personalità dev’essere sviluppata in modo appropriato affinché, durante l’esistenza responsabile, le manifestazioni di ciascuna si armonizzino con tutte le altre. Per mettere in piena luce la diversa natura e origine delle personalità che possono manifestarsi nell’organizzazione generale dell’uomo, e per sottolineare la differenza fra l’Io ” che deve esistere nella presenza generale dell’uomo-senza-virgolette, cioè di un vero uomo, e lo “pseudo-io” con cui oggi tutti lo confondono, possiamo ricorrere a un’ottima analogia che, pur proposta “in tutte le salse”, come si suol dire, dai cosiddetti spiritisti, occultisti, “teosofi” ed altri contemporanei abilissimi a “pescare nel torbido” e a parlare a vanvera di “corpo astrale”, “corpo mentale” o di altri presunti corpi dell’uomo, conserva tutto il suo valore per illustrare la questione che stiamo esaminando. Considerato come un tutto, l’uomo, con le sue diverse localizzazioni dal funzionamento distinto, ovvero con le sue varie “personalità” formate ed educate indipendentemente una dall’altra, presenta un’analogia quasi perfetta con un veicolo destinato al trasporto di un passeggero e composto da carrozza, cavallo e cocchiere.

Anzitutto bisogna notare che la differenza fra un vero uomo ed uno pseudo-uomo, cioè tra l’uomo che ha l’Io e quello che non ce l’ha, in questo paragone è resa esplicita dal passeggero seduto in carrozza. Nel primo caso, quello del vero uomo, il passeggero è il padrone, il proprietario della carrozza, mentre nel secondo è un passeggero casuale che cambia ogni momento, come il cliente di una vettura di piazza. Il corpo fisico dell’uomo, con le sue manifestazioni riflesso-motorie, corrisponde pari pari alla carrozza; l’insieme del funzionamento e delle manifestazioni del sentimento corrisponde al cavallo che è attaccato alla carrozza e la tira; il cocchiere seduto a cassetta che guida il cavallo rappresenta ciò che la gente chiama “conscio” o “pensiero”; infine, il passeggero che è seduto in carrozza e che dà ordini al cocchiere viene detto “Io”. La sfortuna degli uomini contemporanei deriva essenzialmente dal fatto che, grazie agli assurdi metodi usati ovunque per educare le giovani generazioni, la quarta personalità, che dovrebbe essere presente in ogni uomo appena raggiunta l’età responsabile, è del tutto assente, sicché tutti, o quasi, possiedono solo le prime tre parti già descritte che, per giunta, si sono formate a casaccio e da sole. In altri termini, gli uomini contemporanei d’età responsabile sono giusto l’analogo di una “vettura di piazza”: e che vettura!… La carrozza sgangherata ha ormai fatto il suo tempo… fra le stanghe c’è un vecchio ronzino… e a cassetta un vetturino rincitrullito, mezzo addormentato e mezzo ubriaco, che, perso in fantasticherie, trascorre il tempo assegnatogli da Madre Natura per il perfezionamento di sé ad aspettare un passeggero occasionale all’angolo della strada. Infatti chiunque lo paga dispone di lui come vuole, e non solo di lui ma di tutte le parti del tiro a lui sottomesse. Continuando l’analogia fra il tipico uomo contemporaneo con tanto di corpo, sentimenti e pensieri, e una vettura di piazza con carrozza, cavallo e cocchiere, è chiaro che in ogni parte costituente i due termini del confronto devono formarsi abitudini, bisogni e gusti nettamente definiti e propri a lei sola. Infatti, in base alla diversa origine, alle diverse condizioni formative e alle diverse possibilità specifiche, ognuna possiederà necessariamente un proprio psichismo e proprie nozioni, regole soggettive, punti di vista, e così via. L’insieme delle manifestazioni del pensiero umano, con tutto quanto è inerente al suo funzionamento e tutte le sue particolarità specifiche, corrisponde sotto quasi tutti gli aspetti all’essenza e alle manifestazioni di un tipico vetturino di piazza. Come tutti i vetturini in genere, costui corrisponde al tipo “Leo Patacca”. Non è completamente analfabeta, perché, data l’ “istruzione pubblica obbligatoria” in vigore nel suo paese, egli nell’infanzia ha dovuto di tanto in tanto consumare il fondo dei pantaloni sui banchi della scuola annessa alla parrocchia. Per quanto egli venga dalla campagna e sia ancora ignorante come i suoi compaesani rimasti al villaggio, tuttavia, portato dalla sua professione a bazzicare gente di un altro livello educativo e sociale, ha raccolto qua e là tutta una serie di frasi fatte contenenti le più svariate nozioni, ed ora guarda dall’alto in basso con totale disprezzo qualunque cosa sappia di campagnolo, tacciandola sdegnosamente di “oscurantismo”. Insomma, è un tipo al quali si adatta perfettamente l’adagio:”Una cornacchia non sarà mai un pavone!” Egli si considera competente persino in religione, politica o sociologia. Coi suoi pari gli piace discutere; con chi considera inferiore, discetta; coi superiori è adulatore e servile, e davanti a loro “si butta in ginocchio”. Correre dietro le fantesche o alle cuoche del quartiere è una delle suo occupazioni preferite. Ma soprattutto adora centellinarsi un paio di bicchieri dopo una buona scorpacciata, dopodiché, completamente sazio e annebbiato, si mette a sognare…

Per soddisfare questi vizietti, egli sottrae regolarmente un po’ del denaro che il padrone gli dà per foraggiare il cavallo. In nostro Meo Patacca, come ogni buon mercenario, marcia solo a suon di bastonate, e se mai fa qualcosa senza essere spronato, vuol dire che si aspetta una mancia. Poco per volta, l’avidità della mancia l’ha portato ad accorgersi di alcune debolezze nella gente che bazzica e a trarne profitto, e automaticamente ha imparato ad agire con astuzia, ad adulare, a lisciare il pelo: in una parola, a mentire. Appena ha un momento libero e una buona occasione, si infila in un caffè o un bar e ci resta per ore, vaneggiando davanti ad un bicchiere di vino e chiacchierando con qualche suo pari, o leggendo il giornale. Per darsi l’aria importante porta la barba e se è smilzo si fa imbottire la giacca per sembrare imponente.

Il cavallo, trascurato da tutti nei suoi primi anni e lasciato continuamente da solo, si è in qualche modo rinchiuso in sé stesso; in altri termini, la sua “vita interiore” è stata soffocata mentre le sue manifestazioni esterne avvengono solo per forza d’inerzia. A causa delle anormali condizioni circostanti, esso non ha mai ricevuto un’educazione speciale, anzi è cresciuto e si è formato esclusivamente sotto l’influenza di bastonate brutali e di urla continue. Legato continuamente in pastoie, per cibo non ha mai ricevuto fieno o avena ma sempre e solo paglia, che non risponde affatto ai suoi bisogni reali. Non avendo mai percepito in alcuna manifestazione dell’ambiente che lo circonda un segno anche di tenerezza o di amicizia, ora il cavallo è pronto a dare tutto sé stesso a chiunque gli faccia una piccola carezza. Le tendenze di un cavallo del genere, privo di qualsiasi aspirazione o interesse, debbono inevitabilmente concentrarsi sul mangiare, sul bere e su un’attrazione automatica per l’altro sesso; perciò si aggira sempre nei paraggi in cui può soddisfarle, e se per caso vede il luogo dove uno dei suoi bisogni è stato appagato anche una sola volta, non aspetta che il momento propizio per correrci ancora. Bisogna aggiungere che il cocchiere, per quanto limitato nella comprensione dei suoi doveri, è ancora capace di pensare in modo vagamente logico e, per timore di perdere il posto o con la speranza di una ricompensa, ogni tanto, pensando al domani, ha l’impulso di fare qualcosa per il suo padrone senza esservi letteralmente costretto. Il cavallo invece, nel quale, per l’assoluta mancanza dell’educazione speciale adatta alla sua natura, non si sono formati a tempo debito i dati necessari a manifestare le manifestazioni proprie di un’esistenza responsabile, non è in grado di capire perché dovrebbe far qualcosa, né ci si può aspettare che lo capisca. Esso infatti compie il suo dovere per inerzia e lavora solo per paura di un’altra scarica di bastonate.

Quanto alla carrozza, che nella nostra analogia corrisponde al corpo isolato dalle altre parti indipendenti della presenza generale dell’uomo, la sua situazione è ancora peggiore. La nostra carrozza, come tutte le carrozze, è fatta di vari materiali, e la sua struttura è complicatissima, perché è stata concepita – com’è evidente a chiunque abbia un po’ di giudizio – per il trasporto di qualsiasi carico e non secondo l’uso che se ne fa oggi, per il solo trasporto di clienti occasionali. Le innumerevoli disfunzioni di cui è vittima sono causate principalmente dal fatto che i costruttori, avendola destinata a percorrere strade sterrate, avevano ideato appositamente allo scopo certi particolari interni della sua struttura. La lubrificazione ad esempio – esigenza prioritaria in un veicolo costruito con materiali diversi – è concepita in modo che l’olio possa distribuirsi in tutte le parti metalliche proprio grazie alle scosse e ai sobbalzi inevitabili sulle strade sterrate. Invece ormai la carrozza, destinata a stradine di campagna, è quasi sempre ferma in città, e quando viaggia percorre solo viali asfaltati e lisci come biliardi. Senza i sobbalzi, il lubrificante non si distribuisce alle varie parti in maniera uniforme, sicché alcune finiscono per arrugginire diventando inservibili per la funzione loro assegnata. Una carrozza va bene, in linea di principio, quando le sue parti mobili sono ben oliate, mentre quando non lo sono abbastanza si scaldano e si arroventano danneggiando i pezzi vicini. Peraltro se in qualche punto il lubrificante è eccessivo, l’andatura della carrozza è squilibrata. In un caso come nell’altro, il cavallo incontra difficoltà sempre maggiori nel traino. Il cocchiere contemporaneo, il nostro Leo Patacca, non sa e non sospetta nemmeno che sia necessario lubrificare la carrozza, e anche se provvede alla bisogna lo fa senza un’idea precisa, per sentito dire, seguendo alla cieca i suggerimenti del primo venuto.

Di conseguenza la carrozza, ormai più o meno adatta alle strade lisce, quando per una ragione qualunque deve avventurarsi in strade accidentate subisce sempre qualche avaria: o salta un dado, o si piega un bullone… insomma, c’è sempre qualcosa che si sfascia; ed è raro che dopo un’avventura del genere il viaggio termini senza necessità di riparazioni più o meno ingenti. Insomma, oggi è diventato pericoloso usare la carrozza allo scopo a cui in origine era destinata. Al momento di ripararla, bisogna innanzitutto smontarla completamente, esaminare i pezzi a uno a uno e, come sempre in simili casi, metterli a bagno nella benzina per pulirli accuratamente prima di rimontare tutto. Molto spesso, del resto, si rivela urgente sostituire un pezzo importante: cosa non grave quando si tratta di un pezzo non molto costoso; ma capita a volte che la riparazione sia più cara di una vettura nuova. Orbene, è chiaro che quanto abbiamo detto sulle diverse parti il cui insieme costituisce una “vettura di piazza” si applica esattamente all’organizzazione generale della presenza dell’uomo. Mancando nei nostri contemporanei la minima conoscenza e capacità di preparare gli adolescenti in modo appropriato a un’esistenza responsabile mediante un’educazione specifica delle diverse parti che compongono la loro presenza generale, oggigiorno ogni individuo è qualcosa di assurdo e tragicomico al massimo che, per riprendere il nostro esempio, offre un quadretto di questo genere. La carrozza è proprio l’ultimo modello appena uscito di fabbrica e verniciato da autentici carrozzieri tedeschi della città di Brema. Tra le stanghe, c’è una specie di cavallo che in Transcaucasia la gente chiamerebbe “dglozidzi”: dove “dzi” vuol dire cavallo,e Dgloz è il nome di un Armeno specializzato nell’acquisto di ronzini da scuoiare. A cassetta della splendida carrozza siede un cocchiere sonnolento, mal rasato e irsuto, vestito di una marsina unta e bisunta – ricuperata nella pattumiera dove l’ha gettata come uno straccio la sguattera Petronilla – un cappello a cilindro nuovo fiammante in testa, copia esatta di quello di Rockefeller, e all’occhiello un immenso crisantemo. È inevitabile che l’uomo contemporaneo presenti un aspetto così ridicolo perché sin dal primo giorno della sua comparsa, le tre parti che si formano in lui – e che pur essendo di origine diversa e dotate di qualità distinte tuttavia, al fine di perseguire un unico scopo durante l’esistenza responsabile, devono costituire nell’insieme il suo “tutto integrale” – cominciano a “vivere” isolatamente, per così dire, e a rinchiudersi ognuna nelle proprie manifestazioni specifiche, in quanto nessuno le ha mai addestrate neppure al comportamento indispensabile e automatico di sostenersi, aiutarsi e comprendersi reciprocamente, almeno in modo approssimativo, col risultato che in seguito le previste manifestazioni d’insieme non possono prodursi. Grazie al “sistema educativo” delle nuove generazioni, già ben fissato nella vita dell’uomo – e il cui unico principio consiste nell’obbligare gli allievi a ripetere, fino a completo abbrutimento, una quantità di parole e di espressioni prive di senso, e a far loro riconoscere, solo attraverso la differenza dei suoni, la realtà che si presume essere indicata da tali parole – il cocchiere è ancora più o meno capace di spiegare a gente del suo stesso tipo il desiderio ch’egli prova, e talvolta è persino capace di comprendere vagamente i suoi simili. Chiacchierando con gli altri vetturini mentre attende i clienti o corteggiando sulla soglia della cucina le servette del vicinato, il nostro Patacca ha persino assimilato alcune forme di “galateo”. Egli, in base alle condizioni in cui si svolge di solito la vita dei vetturini, ha acquistato automaticamente la capacità di distinguere una via dall’altra, e se una strada è chiusa per lavori, è in grado di escogitare qualche altro percorso per raggiungere l’indirizzo richiesto. Ma il cavallo!… È ben vero che la funesta invenzione contemporanea detta “educazione” non è arrivata fino a lui, e così vengono preservate dall’atrofia le sue facoltà ereditarie; ma formandosi nelle anormali condizioni del processo di esistenza ordinaria degli uomini, esso cresce come un orfano, dimenticato da tutti, anzi bistrattato e senza la possibilità di acquisire alcuno strumento di comunicazione con lo psichismo specifico e le conoscenze del suo cocchiere sicché, ignorando completamente le forme di relazioni reciproche a lui consuete, in definitiva non si stabilisce tra i due alcun contatto che permetta loro di capirsi. Tuttavia può succedere che il cavallo, pur conducendo una vita rinchiusa in se stessa, riesca a scoprire qualche forma di relazione col cocchiere e persino a familiarizzarsi un po’ col suo “linguaggio”; ma purtroppo il cocchiere ignora tutto ciò, anzi lo ritiene addirittura impossibile. Oltre al fatto che queste condizioni anormali impediscono la formazione dei dati necessari a una reciproca comprensione automatica, sia pure limitata, tra il cavallo e il cocchiere, molte altre ragioni esteriori e indipendenti da loro rendono vana qualsiasi possibilità che entrambi concorrano insieme all’unico fine cui sono destinati. Infatti, come le diverse parti indipendenti di una carrozza a cavalli sono collegate tra loro – il carro al cavallo con le stanghe, il cavallo al cocchiere con le briglie – così tutte le parti distinte dell’organizzazione generale dell’uomo sono collegate tra loro: il corpo al sistema del sentimento mediante il sangue, e il sistema del sentimento a quello del pensiero mediante il cosiddetto “hanblezoin”, sostanza che si forma nella presenza generale dell’uomo a partire da tutti gli sforzi esserici compiuti intenzionalmente. Il deplorevole sistema educativo contemporaneo ha determinato l’incapacità del cocchiere di avere la benché minima influenza sul cavallo, ed è già molto se per mezzo delle briglie costui può suscitare nel conscio dell’animale queste tre idee: destra, sinistra e alt. La non sempre ci riesce, perché generalmente le briglie sono fatte di materiale sensibile ai fenomeni atmosferici: per esempio sotto una pioggia battente si ammollano e si allungano, mentre quando fa caldo accade il contrario; quindi la loro azione sulla sensibilità automatica di percezione del cavallo è incostante. La stessa cosa si produce nell’organizzazione generale dell’uomo ordinario tutte le volte che, sotto l’effetto di un’impressione qualunque, si modifica in lui ciò che potremmo chiamare “la densità e il ritmo del hanblezoin”, col risultato che il suo pensiero perde ogni possibilità di agire sul sistema del sentimento. Dunque, per riassumere quanto detto sin qui, ci tocca riconoscere, volenti o nolenti, che ogni uomo deve sforzarsi di avere il proprio “Io”, altrimenti non sarà mai che una “vettura di piazza” su cui qualsiasi passeggero può prendere posto per disporre di lui a suo talento. Non mi pare superfluo sottolineare a questo punto che l’Istituto per lo Sviluppo Armonico nell’Uomo si è dato, tra gli altri suoi obiettivi fondamentali, da un lato quello di educare nei suoi allievi, anzitutto separatamente e poi nei rapporti reciproci, secondo i bisogni della vita soggettiva futura di ognuno, le tre personalità indipendenti di cui abbiamo parlato; e dall’altro di generare e sviluppare in ogni allievo ciò che chiunque porti il nome di uomo-senza-virgolette dovrebbe avere, ossia il proprio “Io”.


Personalita’ ed essenza

di Josè Reyes

3ème Millénaire n. 86 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini [202]

3m. Se osservo il mio comportamento nella vita quotidiana, constato subito un certo automatismo nelle reazioni. Esso sembra sempre attivarsi, davanti ad un dato avvenimento, con la stessa modalità, lo stesso schema di risposta. C’è una ragione per questo?

J.R. Si, c’è una ragione ed è una buona ragione. Se dovessimo rispondere con coscienza ad ogni stimolo della vita, non avremmo abbastanza coscienza per esserne capaci. La meccanicità ci permette di rispondere a molte situazioni della vita automaticamente ed è una buona cosa. La personalità è fatta per questo, cioè per rispondere alle situazioni della vita in modo automatico. Non ci sono sforzi da fare, in ogni momento, per rispondere con spontaneità ad una situazione data quando conoscete già la risposta appropriata, perché la situazione si è già presentata. Ora, il problema è il seguente: la macchina umana, che possiamo chiamare così perché dotata dell’energia automatica dei centri, ha preso l’iniziativa. E l’essenza, che è la parte reale di noi stessi, è diventata passiva. Così, oggi rispondiamo a tutto ciò che si presenta attraverso la personalità, con un meccanismo. Le esperienze che abbiamo non si fondono con la parte di noi che è importante. Pertanto quell’equilibrio può essere ribaltato, se è la personalità che guida. Questa si mette in opera verso i sei o sette anni ed è attraverso di lei che cominciamo ad esprimerci. Siccome non riceviamo un’educazione giusta, l’essenza rimane passiva fin dall’inizio. La sede della personalità  è nel cervello, nella testa; lì è l’apparecchio formatore. La sede dell’essenza è nelle emozioni. Siccome non siamo stati educati sul piano emozionale, l’essenza non ha nessuna possibilità di trovarsi in contatto con la vita. La personalità diventa attiva e prende forza sempre di più e nello stesso tempo l’essenza diventa passiva. Questa è oggi la situazione.

3m. L’inizio di tutto è dunque in un’educazione impropria. C’è modo di rimediare a tutto questo?

J.R. Il problema è che per educare i bambini, noi adulti dobbiamo essere educati. Noi siamo arrivati a credere che il solo bisogno dei bambini fosse un’educazione intellettuale. Li mandiamo nei collegi migliori, nelle migliori università e loro ottengono un master, poi un dottorato, ecc. Crediamo che sia solo necessaria un’educazione intellettuale. Dobbiamo cominciare con noi stessi, con la realizzazione che dobbiamo veramente sviluppare le nostre emozioni, voglio dire le emozioni positive. Perché le emozioni negative sono lì! Dobbiamo cominciare a vedere che cosa sono le emozioni. Prima di tutto studiare come reagiamo, come rispondiamo emozionalmente agli avvenimenti, vedere come siamo immaturi sul piano emozionale. Studiando, osservando, cominciamo ad apprendere. Il sistema di sviluppo della Quarta Via si basa sullo sviluppo emozionale dell’uomo. Questo sviluppo accompagna quello delle facoltà e delle possibilità del corpo. Perché noi non abbiamo scoperto il tesoro che si trova nel corpo umano. Leggiamo per esempio in un negozio che il tale o il talaltro cibo ci fa bene. Ma questo è solo nella testa! Dobbiamo veramente avere il contatto col corpo in tutti i modi possibili. Il corpo ha una sua memoria, un suo modo di essere in relazione con gli altri, ha una vita propria. Dobbiamo andare in ogni sua parte. Se immaginiamo di vivere in una casa a tre piani, siamo a pianterreno, senza conoscere gli altri piani. E lì spesso si trovano gli altri modi di percepire. Abbiamo questa possibilità, di percepire in modo differente il mondo. Ma, ecco, siamo dei sottosviluppati ed è lì che si trova la causa della nostra miseria e sofferenza. Non è perché siamo meccanici. E’ perché reagiamo a tutto quanto succede in modo meccanico.

3m. Ma la meccanicità ci porta al tempo stesso a desiderare di non lasciare il conosciuto, a non voler visitare gli altri piani, malgrado il desiderio di eliminare la sofferenza, di essere pacificati.

J.R. Il primo problema dell’umano è la paura dell’incerto. La mente ama le cose che già conosce. Non appena cade su qualcosa di differente, di sconosciuto, la mente lo rifiuta. La paura è quella del futuro. Cosa succederà domani? Forse mancherà il denaro? Perderemo la casa o il lavoro? Abbiamo paura del futuro, preferiamo assestarci sul presente, e questo ci dà un senso di sicurezza. Viviamo come poveri, mentre abbiamo il potenziale di essere veri umani, ma abbiamo paura dell’ignoto. Qualunque cosa si dice alla gente, a meno che non abbia avuto esperienza di quel profumo di vita e al tempo stesso della sua mancanza di gioia e che c’è qualcosa di meglio, niente è possibile. Cristoforo Colombo, per fare quello che ha fatto ha preso della gente speciale, insoddisfatta dello status quo. Gente che non poteva stare dov’era e cercava qualcosa di differente. Quella passione viene dal cuore. Abbiamo bisogno di un centro magnetico perché è quello che crea delle persone che cercano altri modi per svilupparsi. In generale, quando parlate alle persone, non capiscono di cosa parli, dicono che stanno bene così; molto poche vogliono fare un passo avanti.

3m. Per andare al di là della meccanicità, è necessario avere in partenza quel gusto dell’ignoto, quell’intuizione che qualcosa è possibile in altro modo?

J.R. E’ come per ogni  situazione della vita. Quando siamo piccoli speriamo sempre che qualcosa accada, che cambierà la situazione. Reclamiamo con nostra madre. Poi vediamo che non è possibile. Poi ci si dice: “molto bene, quando la scuola sarà finita, tutto andrà meglio”. Ma una volta finita la scuola, ci si rende conto che non è cambiato niente. Poi il college, poi il lavoro… “quando sarò indipendente, andrà meglio. Poi mi sposo ed è perfetto”. Poi i bambini. Aspettiamo tutto il tempo che qualcosa cambi la nostra vita. Non realizziamo che non è l’esterno che cambia le cose, ma che questo deve venire da dentro. La gente dice: “vado in un paese diverso e finalmente là sarò felice”. Ma portate voi stessi come siete. Per prima cosa, non è cambiare posto, ma lasciar indietro se stessi. E diventate capaci di cambiare le cose. Non sono le condizioni esterne che ci devono cambiare, ma il nostro modo di percepire la realtà, la vita.

3m. Ci sono ostacoli interni, nodi emotivi, che sono cose grosse di fronte a noi. Come sciogliere quei nodi che ci costringono alla meccanicità? Il lavoro su di sé permette all’energia di crescere. Ma, arrivati a un certo stadio, la disperdiamo totalmente con un ritorno di fiamma alla personalità, ai suoi desideri, alle sue pulsioni…

J.R. Comprendo. Quei nodi sono tutti emotivi. Sono messi da piccoli. Chiamiamoli traumatismi. Un trauma è come un taglio. Qualcosa si è inscritto nelle emozioni. Nell’infanzia siamo feriti molto profondamente. Nascondiamo questo e quando intanto diventiamo adulti, non possiamo attribuire il nostro comportamento a quegli avvenimenti della nostra infanzia. Non ne vediamo l’origine, non percepiamo che il nostro comportamento, le nostre reazioni, le nostre risposte alle situazioni della vita. Questo viene da ciò che chiamate i nodi, i traumi. Ciò che è importante è che i traumi sono stati messi artificialmente nel nostro emozionale, si nutrono delle nostre emozioni, ne hanno bisogno. Quei comportamenti assorbono la vostra attenzione. E voi dite: “è reale, è quel che sono, sono io”. Ma non è vero, non è la realtà. E’ solo una parte di voi, e questo non fa che rispondere a un trauma, un condizionamento dell’infanzia. Se cominciamo a ritirare la nostra attenzione dai comportamenti, se mettiamo la nostra attenzione a un posto più appropriato, in uno stato di coscienza, diventiamo capaci di percepire, di vedere noi stessi. Appare l’osservatore. Cominciamo a vedere che quei traumi nell’osservatore non esistono. L’osservatore è libero da loro. I traumi non esistono che nel nostro sé inferiore. E’ lì che si manifestano. Se passiamo ad un più alto stato di coscienza, non possono agire, perché la nostra attenzione non è disponibile per loro. L’attenzione è come l’acqua che può permettere ai condizionamenti di crescere e di avere radici molto profonde nella nostra psiche.  Se chiudete l’acqua, che è la vostra attenzione, e la versate da un’altra parte, quei traumi cominciano a morire, a perdere il loro potere. Ma la gente pensa che parlandone si possano eliminare.

3m. E’ la questione dell’analisi psicanalitica…

J.R. Si. Quello non può essere realizzato con la parola. Perché quell’azione si svolge dentro di voi, è la vostra attenzione che va da una parte verso un’altra. E generalmente questa seconda parte è più rilassata, è nel corpo. La vostra attenzione si porta nel corpo e andate sempre più verso un rilassamento del corpo. E lasciando che il rilassamento si faccia nel corpo, anche le vostre emozioni si rilassano. Tutti quei comportamenti derivati dai traumi, si manifestano con tensioni, e producono reazioni. Sono le tensioni che generano reazioni.

3m. E poi la reazione è più rapida della testa, non la si vede.

J.R. Infatti. E tutte quelle reazioni assorbono energia che sarebbe molto utile. Le energie se ne vanno per nutrire quello stato artificiale. Allora abbiamo meno opportunità di trasformarci, perché abbiamo meno energia. Abbiamo bisogno di energia di buona qualità per trasformarci, migliore di quella dell’energia puramente meccanica.

3m. Questa trasformazione necessita di un’energia più fine, ma non c’è solo la questione della qualità, ma c’è anche quella della quantità. Qualità e quantità sono entrambe necessarie insieme?

J.R. L’energia dell’attenzione è legata all’energia della sensitività. Una sensibilità libera offre la possibilità di una maggiore quantità d’attenzione. Certo, se c’è la qualità, ma manca la quantità, perdete la qualità. Dovete essere capaci di avere la vostra attenzione sotto controllo più a lungo. Perché l’attenzione è sempre stimolata da ciò che accade fuori. Potete guardare un film per due ore e mezzo e la vostra attenzione è catturata dallo schermo. Ma è un’attenzione automatica, che non ha niente a che fare con l’attenzione che dovete mantenere attraverso voi stessi. Abbiamo bisogno di sviluppare un’attenzione libera e questa deve essere diretta. Dirigo la mia attenzione al mio corpo, per esempio, alla mia respirazione e quella respirazione ha una qualità di presenza differente. Dal momento in cui la mia attenzione è libera dalle associazione del pensiero, dalle associazioni mentali che si fanno da sole, la qualità della mia presenza si modifica. Divento più me stesso, sono più cosciente di me stesso. Quanto tempo posso mantenere questo? Dipende da ciò che ho fatto prima. Se non faccio niente, nessuna meditazione, nessuna osservazione, nessun movimento, allora non è possibile niente.

3m. Se mettiamo l’attenzione sul corpo, questo è possibile per un certo tempo e allora l’ego è privo di energia. Ma una volta che l’attenzione torna al livello ordinario, l’ego e le sue manifestazioni ricompaiono, forse anche più forte se l’ego avverte che la sua fine è prossima. Quando ritorna si dice: la via è libera, festeggiamo! E’ un ostacolo pesante in questo lavoro, un po’ come Sisifo che, quasi giunto a spingere il suo roccione in cima alla montagna, lo vede rotolare giù…

J.R. Passiamo dalla personalità, quando dormiamo, quando siamo nel funzionamento automatico, a più essenza quando ci svegliamo. Siamo più vicini all’essenziale. Dunque la prima tappa per svegliarci è liberare la nostra attenzione. Dovete essere attenti a dove si trova l’attenzione, perché viaggia nel corso della giornata. E’ su un pensiero, poi su un altro. Poi arriva un’emozione e attira l’attenzione. Poi abbiamo fame e l’attenzione è sulla fame. Tra quei momenti in cui l’attenzione viaggia dall’uno all’altro, possiamo dirigerla intenzionalmente. Basta la mano sinistra: dirigo l’attenzione verso la mano sinistra, e anche mentre vi parlo o analizzo una o l’altra cosa, una parte dell’attenzione è sulla mano sinistra. Questo mi pone in uno stato differente. Se questo se ne va, cosa che avviene di sicuro, continuo a parlare, ma dormo. Infatti non sono lì. La mia attenzione è imprigionata nel processo che si svolge, qualunque esso sia. Ma quando dirigo l’attenzione, non sono più intrappolato. L’osservatore è lì, perché metto la sensazione e la libera attenzione. Dunque, ogni volta che la vostra attenzione è libera, sperimentate uno stato differente da quello in cui la vostra attenzione è intrappolata. In questo modo cominciate a imparare: quando fate certe cose, la vostra attenzione è legata, in altre siete più liberi, più capaci di vedere la vostra vita in una prospettiva più ampia. Vedete i momenti in cui non siete identificati con la situazione e la vostra coscienza è più aperta e più distesa. Nella misura in cui la vostra attenzione è imprigionata nella meccanicità, la vita non ha alcun senso. Siete solo una macchina reattiva.

3m. Quando proponete di portare l’attenzione per esempio sulla mano sinistra, è la testa che prende la decisione. E’ ancora un processo mentale?

J. R. Si, è l’inizio. Prima vi ricordate di fare quello. La prima tappa è realizzare che la mia attenzione è intrappolata. Dove sono? Siete nei pensieri o nell’emozione. Nel momento in cui ve lo domandate, comincia il cambiamento. Ora oriento il pensiero alla mano sinistra. Si, è con la testa. Ma ora sono a contatto con la sensazione. Il pensiero e la sensazione lavorano insieme. Due centri sono insieme. Non sto pensando a ciò che accade, ma tengo l’attenzione sulla mano. Poi arriva l’emozione e comincia a partecipare al processo. Comincio a ricordarmi di me stesso. Questo ricordarsi di sé ha molti strati, come una cipolla. Cominciate dallo strato più superficiale, dite vado sulla mano, poi sulla respirazione, sugli occhi…Guardate ciò che vedete e avete una prospettiva, siete coscienti di vedere le cose, in una visione diversa, siete coscienti della loro profondità. E così col gusto, o l’udito. Tutte le vostre facoltà sono nel presente. Allora avete il piacere di quel ricordarsi di sé, che può essere molto profondo e portarvi fino a Dio.