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Seminario Gurdjieff 2015 – Il Lavoro e le Danze.

Seminario-Italia-2015

Vi invitiamo a partecipare a quest’attività annuale con José Reyes. Da diversi anni ormai quest’appuntamento segna il punto di partenza per un lavoro di gruppo più ampio e profondo che continuerá poi nella nostra vita di tutti i giorni. L’opportunitá di lavorare con José Reyes, grazie alla sua esperienza e presenza constituisce un’occasione unica per tutti coloro che sono interessati a questo lavoro.

Quest’anno il seminario Gurdjieff Italia offrirá due settimane di lavoro dal 14 al 29 Agosto con la possibilità di partecipare una sola settimana. Presso il Centro Montauto di Rapolano Terme il programma delle attività includerá:

Esercizio della mattina: Sedute di meditazione ed esercizi per il contatto diretto con sé stessi ed il momento presente nella tradizione della Quarta Via. Movimenti di Gurdjieff : Classi giornaliere di Movimenti (4 ore circa) introduttive, perfezionamento e pratica. Zikr : Esercizi Sufi per l’apertura del cuore. Pratica e formale. Temi di Lavoro : Attivitá in piccoli gruppi per la discussione del tema del giorno. Lavori Pratici : Includono attvitá come: la cucina, le pulizie, il giardinaggio, etc.. Per imparare a non separare il nostro lavoro interiore dalle attivitá quotidiane.

Il seminario é aperto a tutti. Non é richiesta esperienza.

Per maggiori informazioni scrivere a : info@gurdjieffitalia.it

 


Gurdjieff Anniversary 2014


Il Lavoro di Gurdjieff – Movimenti e Danze Sacre 2013

Dedicato all’applicazione pratica dell’insegnamento trasmesso

da G.I.Gurdjieff e J.G.Bennett.

Prima settimana: da Venerdì 26 Luglio a Sabato 3 Agosto
Seconda Settimana: da Sabato 3 Agosto a Sabato 10 Agosto

(E’ possibile partecipare ad una sola delle due settimane)

Il seminario è diretto da Jose Reyes – Insegnante della Quarta Via dal 1977

“Lo scopo di questi seminari è di fornire hai partecipanti l’opportunità di condividere e di sperimentare insieme i benefici dell’eredità spirituale trasmessa dei Maestri della Quarta Via e del Sufismo”.

Il programma include il lavoro con i Movimenti e le Danze Sacre (circa 4 ore al giorno), i temi, l’osservazione di sé, gruppi di condivisione, così come pratiche sufi per l’apertura del cuore.

La seconda settimana del seminario di quest’anno sarà dedicata eccezionalmente ad un corso di formazione per insegnanti di Movimenti per coloro che intendono perseguire l’insegnamento dei Movimenti insieme alle idee della Quarta Via.

Corso di Formazione per Insegnanti di Movimenti di Gurdjieff durante la seconda settimana:

Insegnare i Movimenti e trattarli come se fossero qualcosa di indipendente degli Insegnamenti e metodi della Quarta Via, è un grande disservizio alla memoria e allo scopo della visione olistica che Gurdjieff aveva del suo insegnamento. Vogliamo contribuire a portare un cambiamento radicale nel modo in cui vengono insegnati i Movimenti e contribuire a promuovere la creazione di gruppi con lo scopo di studiare e mettere in pratica le idee ed i metodi di Gurdjieff. Prendendo tutto questo in considerazione siamo giunti alla conclusione che un Corso di Formazione per Insegnanti è necessario per realizzare questa visione della Quarta Via in modo più completo e fedele.

Il seminario si terrà presso il Centro Montauto di Rapolano Terme in provincia di Siena


Sapere ed Essere

ESTRATTO DA “FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO” di P.D.Ouspensky

Durante quasi tutte le sue spiegazioni G. ritornava su un tema che evidentemente considerava della massima importanza, ma che parecchi tra noi avevano molta difficoltà ad assimilare.

“Lo sviluppo dell’uomo, egli diceva, si effettua secondo due linee, ‘sapere’ ed ‘essere’. Ma affinché l’evoluzione avvenga correttamente, le due linee devono procedere insieme, parallele l’una all’altra e sostenersi reciprocamente. Se la linea del sapere sorpassa troppo quella dell’essere, e se la linea dell’essere sorpassa troppo quella del sapere, lo sviluppo dell’uomo non può farsi regolarmente; prima o poi deve fermarsi. “La gente afferra ciò che si intende per ‘sapere’. Si riconosce che il sapere può essere più o meno vasto e di qualità più o meno buona. Ma questa comprensione non viene applicata all’essere. Per essi l’essere significa semplicemente ‘ l’esistenza ‘ che contrappongono alla ‘non esistenza’. Non comprendono che l’essere può situarsi a livelli molto differenti e comportare diverse categorie.

Prendete per esempio l’essere di un minerale e l’essere di una pianta. Sono due esseri differenti. L’essere di una pianta e quello di un animale sono anch’essi due esseri differenti, e così pure l’essere di un animale e quello di un uomo. Ma due uomini possono differire nel loro essere più ancora di quanto un minerale e un animale differiscono tra loro. E questo è proprio ciò che le persone non comprendono. Non comprendono che il sapere dipende dall’essere. E non soltanto non lo comprendono, ma non lo vogliono comprendere. In modo particolare nella civiltà occidentale, si ammette che un uomo possa avere un vasto sapere, che per esempio egli possa essere un illustre sapiente, autore di grandi scoperte, un uomo che fa progredire la scienza, e nello stesso tempo possa essere, ed abbia il diritto di essere, un povero piccolo uomo egoista, cavilloso, meschino, invidioso, vanitoso, ingenuo e distratto. Sembra normale che un professore debba dimenticare dappertutto il suo ombrello. Eppure è proprio questo il suo essere. Ma si ritiene, in occidente, che il sapere di un uomo non dipende dal suo essere. Le persone accordano un valore massimo al sapere, ma non sanno accordare all’essere un valore eguale e non si vergognano del livello inferiore del loro essere. Non si comprende neppure ciò che questo significhi. Non si comprende che il grado del sapere di un uomo è in funzione del grado del suo essere.

“Allorché il sapere sorpassa di troppo l’essere, esso diventa teorico, astratto, inapplicabile alla vita; può anche diventare nocivo, perché invece di servire la vita e aiutare le persone nella lotta contro le difficoltà questo sapere comincia a complicare tutto; di conseguenza non può che apportare nuove difficoltà, nuovi turbamenti ed ogni sorta di calamità che prima non esistevano. “La ragione di ciò è che il sapere, quando non è in armonia con l’essere, non potrà mai essere abbastanza grande, o per meglio dire, sufficientemente qualificato per i reali bisogni dell’uomo. Sarà il sapere di una cosa legato all’ignoranza di un’altra; sarà il sapere del particolare legato all’ignoranza del tutto, il sapere della forma che ignora l’essenza. “Una tale preponderanza del sapere sull’essere può essere constatata nella cultura attuale. L’idea del valore e dell’importanza del livello del l’essere è stata completamente dimenticata. Non si comprende più che il livello del sapere è determinato dal livello dell’essere. Effettivamente ad ogni livello di essere corrispondono determinate possibilità di sapere, ben definite. Nei limiti di un certo ‘essere’ la qualità del sapere non può essere cambiata; solo è possibile l’accumularsi di informazioni di una sola e medesima natura. Un cambiamento della natura del sapere è impossibile senza un cambiamento nella natura dell’essere.

“Preso in sé, l’essere di un uomo presenta molteplici aspetti. Quello dell’uomo moderno si caratterizza soprattutto per l’assenza di unità in se stesso e per l’assenza della benché minima traccia di quelle proprietà che specialmente ama attribuirsi: la ‘lucidità di ‘coscienza’, la ‘volontà libera’, un ‘Ego permanente’ o ‘Io’ e la ‘capacità di fare’. Sì, per stupefacente che ciò possa sembrarvi, vi dirò che la caratteristica principale dell’essere di un uomo moderno, e ciò spiega tutto ciò che gli manca, è il sonno. “L’uomo moderno vive nel sonno; nato nel sonno, egli muore nel sonno. Del sonno, del suo significato e della parte che ha nella vita, parleremo più tardi, ora riflettete soltanto su questo: che cosa può conoscere un uomo che dorme? Se ci pensate, ricordandovi nello stesso tempo che il sonno è la caratteristica principale del nostro essere, subito vi diverrà evidente che un uomo, se vuole realmente conoscere, deve innanzi tutto riflettere sulla maniera di svegliarsi, cioè sulla maniera di cambiare il suo essere.

“In generale l’equilibrio dell’essere e del sapere è anche più importante di uno sviluppo separato dell’uno o dell’altro. Poiché uno sviluppo separato dell’essere o del sapere non è in alcun modo desiderabile. Benché sia precisamente questo sviluppo unilaterale che sembra attrarre particolarmente la gente. “Allorché il sapere predomina sull’essere, l’uomo sa, ma non ha il potere di fare. È un sapere inutile. Al contrario, quando l’essere predomina sul sapere, l’uomo ha il potere di fare, ma non sa che cosa deve fare. Così l’essere che egli ha acquisito non può servirgli a nulla e tutti i suoi sforzi saranno stati inutili. “Nella storia dell’umanità, troviamo numerosi esempi di intere civiltà che perirono sia perché il loro sapere superava il loro essere, sia perché il loro essere superava il loro sapere”.

Il sapere è una cosa, la comprensione è un’altra. Ma la gente confonde spesso queste due idee, oppure non vede nettamente dove sta la differenza. “Il sapere di per sé stesso non dà comprensione. E la comprensione non potrebbe essere aumentata da un accrescimento del solo sapere. La comprensione dipende dalla relazione tra il sapere e l’essere. La comprensione risulta dalla congiunzione del sapere e dell’essere. Di conseguenza l’essere ed il sapere non debbono divergere troppo, altrimenti la comprensione risulterebbe molto distante dall’uno e dall’altro. Ripetiamo: la relazione tra il sapere e l’essere non cambia per un semplice accrescimento del sapere. Essa cambia solamente quando l’essere cresce parallelamente al sapere. In altri termini, la comprensione non cresce che in funzione dello sviluppo dell’essere. “Le persone, sovente confondono questi concetti e non afferrano chiaramente quale è la differenza tra di essi. Pensano che se si sa di più, si deve comprendere di più. Questo è il motivo per cui esse accumulano il sapere o quello che chiamano così, ma non sanno come si accumula la comprensione e non se ne preoccupano. “Tuttavia una persona esercitata all’osservazione di sé, sa con certezza che in differenti periodi della sua vita ha compreso una stessa idea, uno stesso pensiero, in modo totalmente diverso. Sovente le sembra strano, di aver potuto comprendere così male ciò che adesso crede di comprendere così bene. E, ciononostante, si rende conto che il suo sapere è rimasto lo stesso, e che oggi non sa niente più di ieri. Che cosa dunque è cambiato? È il suo essere che è cambiato. Quando l’essere cambia, anche la comprensione deve cambiare.

“La differenza tra il sapere e la comprensione ci diventa chiara quando ci rendiamo conto che il sapere può essere funzione di un solo centro. La comprensione, invece, risulta dalla funzione di tre centri. Così l’apparecchio del pensiero può sapere qualcosa. Ma la comprensione appare soltanto quando un uomo ha il sentimento e la sensazione di tutto ciò che si ricollega al suo sapere. “Non vi è nulla nel mondo, dal sistema solare fino all’uomo e dall’uomo fino all’atomo, che non salga o non scenda, che non si evolva o non degeneri, che non si sviluppi o non decada. Ma nulla si evolve meccanicamente. Solo la degenerazione e la distruzione procedono meccanicamente. Ciò che non può evolversi coscientemente, degenera. L’aiuto esterno non è possibile che nella misura in cui è apprezzato e accettato, anche se esso lo è all’inizio solo dal sentimento. “Il linguaggio che permette la comprensione, si basa sulla conoscenza del rapporto dell’oggetto che si esamina con la sua evoluzione possibile, sulla conoscenza del suo posto nella scala evolutiva. “A questo fine, un gran numero delle nostre idee comuni sono divise in conformità agli stadi di questa evoluzione.


Conoscenza ed osservazione di sé

ESTRATTO DA “FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO” di P.D.Ouspensky

Come può l’uomo essere indipendente dalle influenze esteriori, dalle grandi forze cosmiche, quando è schiavo di tutto ciò che lo circonda? Egli è in balia di tutte le cose intorno a lui. Se fosse capace di liberarsi dalle cose, potrebbe anche liberarsi dalle influenze planetarie. “Libertà, liberazione. Questo deve essere lo scopo dell’uomo. Diventare libero, sfuggire alla schiavitù — ecco ciò per cui un uomo dovrebbe lottare allorché è diventato, anche solo un poco, cosciente della sua situazione. Questa è la sola via d’uscita per lui, poiché nient’altro è possibile finché resta uno schiavo, interiormente ed esteriormente. Ma non può cessare d’essere schiavo esteriormente finché resta schiavo interiormente. Così, per diventare libero, deve conquistare la libertà interiore. “La prima ragione della schiavitù interiore dell’uomo è la sua ignoranza, e, soprattutto l’ignoranza di sé stesso. Senza la conoscenza di sé, senza la comprensione del moto e delle funzioni della sua macchina, l’uomo non può essere libero, non può governarsi e resterà sempre uno schiavo, in balia delle forze che agiscono su di lui. “Ecco perché, negli insegnamenti antichi, la prima richiesta a chi si metteva sulla via della liberazione, era: ‘Conosci te stesso’ “.

“Queste parole, disse G., che sono generalmente attribuite a Socrate, si trovano alla base di parecchie dottrine e scuole molto più antiche della scuola socratica. Ma benché il pensiero moderno non ignori l’esistenza di questo principio, non ha che un’idea molto vaga del suo significato e della sua portata. L’uomo ordinario del nostro tempo, anche se si interessa alla filosofia o alle scienze, non comprende che il principio ‘Conosci te stesso’ si riferisce alla necessità di conoscere la propria macchina, la ‘macchina umana’. La struttura della macchina è più o meno la stessa in tutti gli uomini; è quindi questa struttura che l’uomo deve per prima cosa studiare, cioè le funzioni e le leggi del suo organismo. “Il principio ‘Conosci te stesso’ ha un contenuto molto ricco. Esso richiede in primo luogo, all’uomo che vuole conoscersi, di comprendere ciò che questo significa, in quale insieme di relazioni s’inscriva questa conoscenza e da che cosa essa necessariamente dipenda.

“La conoscenza di sé è uno scopo molto alto, ma molto vago e distante. L’uomo nel suo stato attuale è molto lontano dalla conoscenza di sé. Questa è la ragione per cui, rigorosamente parlando, lo scopo di un uomo non può essere definito la conoscenza di sé. Il suo grande scopo deve essere lo studio di sé. Per lui sarà ampiamente sufficiente comprendere che deve studiare sé stesso. Ecco lo scopo dell’uomo: cominciare a studiare sé stesso, conoscere sé stesso, nel modo più giusto. “Lo studio di sé è il lavoro, o la via, che conduce alla conoscenza di sé. “Ma per studiare sé stessi, occorre innanzitutto imparare come studiare, da dove cominciare, quali mezzi impiegare. Un uomo deve imparare come studiare sé stesso, deve imparare i metodi dello studio di sé. “Il metodo fondamentale per lo studio di sé è l’osservazione di sé. Senza una osservazione di sé eseguita in modo corretto, un uomo non comprenderà mai come le diverse funzioni della sua macchina siano collegate e in correlazione tra loro, non comprenderà mai come e perché, in lui, ‘tutto accade’.

“Vi sono due metodi di osservazione di sé: il primo è l’analisi, o i tentativi di analisi, cioè i tentativi di trovare una risposta a queste domande: Da che dipende tale cosa, e perché si verifica? Il secondo è il metodo delle constatazioni, che consiste semplicemente nel registrare nella propria mente tutto ciò che si osserva nel momento presente. “L’osservazione di sé, soprattutto all’inizio, non deve con nessun pretesto diventare analisi, o tentativo di analisi. Prima di poter analizzare i fenomeni anche più elementari, un uomo deve accumulare sufficiente materiale sotto forma di ‘registrazioni’. Le registrazioni, risultato di una osservazione diretta di ciò che avviene in un determinato momento, sono il materiale più importante nello studio di sé. Quando le registrazioni siano state raccolte in numero sufficiente e al tempo stesso le leggi siano state studiate e comprese fino a un certo punto, allora l’analisi diventa possibile.

“Quante volte mi avete domandato se non sarebbe possibile arrestare le guerre? Certamente, sarebbe possibile. Basterebbe che la gente si svegliasse. Sembra una cosa da nulla. Non vi è nulla, invece, di più difficile, perché il sonno è indotto e mantenuto dall’intera vita circostante, da tutte le condizioni dell’ambiente. “Come svegliarsi? Come sfuggire a questo sonno? Queste domande sono le più importanti, le più vitali che un uomo si possa porre. Ma prima di porsele, egli dovrà convincersi del fatto stesso del suo sonno. E gli sarà possibile convincersene solo tentando di svegliarsi. Quando avrà compreso che non si ricorda mai di sé stesso, e che il ricordarsi di sé significa risvegliarsi fino ad un certo grado, e quando avrà visto per esperienza quanto sia difficile ricordarsi di sé, allora comprenderà che per svegliarsi non basta desiderarlo. Più rigorosamente, diremo che un uomo non può svegliarsi da sé. Ma se venti uomini si mettono d’accordo e stabiliscono che il primo di essi che si sveglierà, sveglierà gli altri, essi hanno già una possibilità. Tuttavia, anche questo è insufficiente, perché questi venti uomini possono dormire nello stesso tempo e sognare di svegliarsi. Dunque è necessario qualcosa di più. Questi venti uomini devono essere sorvegliati da un uomo che non sia addormentato o che non si addormenti così facilmente come gli altri, o che si metta coscientemente a dormire quando ciò è possibile, quando non può risultarne alcun male né per lui, né per gli altri. Essi devono trovare un tale uomo e accaparrarselo, affinché li svegli e impedisca loro di ricadere nel sonno. Senza questa condizione, è impossibile svegliarsi. Questo bisogna comprenderlo.

“È possibile pensare per migliaia di anni, è possibile scrivere biblioteche intere, inventare teorie a milioni e tutto questo nel sonno, senza alcuna possibilità di risveglio. Al contrario, queste teorie e questi libri inventati e scritti da gente addormentata, avranno semplicemente l’effetto di trascinare altri uomini nel sonno, e così di seguito. “Non vi è niente di nuovo nell’idea del sonno. Fin dalla creazione del mondo, è stato detto agli uomini che essi erano addormentati e che dovevano svegliarsi. Per esempio, quante volte leggiamo nei Vangeli: ‘Svegliatevi’, Vegliate’, ‘non dormite’. I discepoli del Cristo, persino nel Giardino di Getsemani, mentre il loro Maestro pregava per l’ultima volta, dormivano. Questo dice tutto. Ma gli uomini lo comprendono? Essi considerano ciò una figura retorica, una metafora. Non vedono affatto che deve essere preso alla lettera. E di nuovo è facile capire perché. Per prenderlo alla lettera occorrerebbe svegliarsi un po’, o per lo meno tentare di svegliarsi. Mi è stato sovente chiesto, seriamente, perché i Vangeli non parlano mai del sonno, mentre se ne parla in ogni pagina. Ciò dimostra semplicemente che la gente legge il Vangelo dormendo.

“Fintante che un uomo è in un sonno profondo, interamente sommerso dai suoi sogni, non può neppure pensare di essere addormentato. Se potesse pensare di essere addormentato, si sveglierebbe. E così vanno le cose, senza che gli uomini abbiano la minima idea di tutto quel che perdono a causa del loro sonno. Come ho già detto, l’uomo, così come è, così come la natura lo ha creato, può diventare un essere cosciente di sé. Creato a questo scopo, nasce per questo scopo. Ma egli nasce fra gente addormentata e, naturalmente, cade a sua volta in un sonno profondo, proprio nel momento in cui dovrebbe incominciare a prendere coscienza di sé. Ogni cosa vi ha parte: l’involontaria imitazione degli adulti da parte del bambino, le suggestioni volontarie o involontarie e la cosiddetta ‘educazione’. Ogni tentativo di risveglio da parte del bambino è stroncato sul nascere. È inevitabile. Quanti sforzi più tardi per svegliarsi! E di quanto aiuto si avrà bisogno allorquando migliaia di abitudini, che spingono al sonno, saranno state accumulate. “Le possibilità dell’uomo sono immense. Non potete neppure farvi un’idea di ciò che un uomo è capace di raggiungere. Ma nel sonno nulla può essere raggiunto. Nella coscienza di un uomo addormentato, le sue illusioni, i suoi ‘sogni’, si mescolano alla realtà. L’uomo vive in un mondo soggettivo al quale gli è impossibile sfuggire. Ecco perché non può mai fare uso di tutti i poteri che possiede e vive sempre soltanto in una piccola parte di sé stesso.

“È già stato detto che lo studio di sé e l’osservazione di sé, se condotti in modo corretto, portano l’uomo a rendersi conto che vi è ‘qualche cosa di sbagliato, nella sua macchina e nelle sue funzioni, nel loro stato ordinario. Egli capisce che, proprio perché è addormentato, vive e lavora solo in una piccola parte di sé. Capisce che per la stessa ragione la maggior parte delle sue possibilità restano non realizzate e la maggior parte dei suoi poteri, non utilizzati. Egli sente di non ricavare dalla vita tutto ciò che essa potrebbe dargli, e che la sua incapacità dipende da certi difetti funzionali della sua macchina, del suo apparecchio ricevente. L’idea dello studio di sé acquista ai suoi occhi un significato nuovo. Egli sente che forse non vale neppure la pena di studiarsi così com’è ora. Vede ogni funzione nel suo stato attuale, e come potrebbe o dovrebbe diventare. L’osservazione di sé induce l’uomo a riconoscere la necessità di cambiare. Praticandola, egli si rende conto che il solo fatto di osservare sé stesso produce certi cambiamenti nei suoi processi interiori. Comincia a capire che l’osservazione di sé è per lui un mezzo per cambiare, uno strumento di risveglio. Osservando sé stesso, egli proietta in qualche modo un raggio di luce sui suoi processi interiori, che fino ad allora si erano effettuati in un’oscurità pressoché totale. E, sotto l’influenza di questa luce, tali processi cominciano a cambiare. Vi sono un gran numero di processi chimici che possono aver luogo soltanto in mancanza di luce. Esattamente nello stesso modo, un gran numero di processi psichici possono aver luogo soltanto nell’oscurità. Anche un barlume di coscienza è sufficiente a cambiare completamente il carattere dei processi abituali e rendere impossibile un gran numero di essi. I nostri processi psichici (la nostra alchimia interiore) hanno molti punti in comune con questi processi chimici nei quali la luce cambia il carattere del processo, e sono soggetti a leggi analoghe.

E per cominciare l’osservazione di sé e lo studio di sé, è indispensabile imparare a dividersi. L’uomo deve rendersi conto che in realtà è composto da due uomini. Ricordatevi ciò che è stato detto prima: l’osservazione di sé conduce un uomo alla constatazione del fatto che egli non si ricorda di sé. La sua impotenza a ricordarsi di sé è uno dei tratti più caratteristici del suo essere e la vera causa di tutto il suo comportamento. Questa impotenza si manifesta in mille modi. Egli non ricorda le sue decisioni, non ricorda la parola che ha dato a sé stesso, non ricorda ciò che ha detto o provato un mese, una settimana, un giorno o soltanto un’ora addietro. Inizia un lavoro, e dopo un certo lasso di tempo dimentica perché l’ha cominciato. È soprattutto nel lavoro su di sé, che questo fenomeno si produce con una frequenza del tutto particolare. Un uomo non può ricordare una promessa fatta ad altri se non con l’aiuto di associazioni artificiali, di associazioni educate in lui, le quali, a loro volta, si associano a ogni genere di concezioni, anche queste create artificialmente, quali 1′ ‘onore’, l ‘onestà’, il ‘dovere’ e così via. Parlando in generale, si può affermare con certezza che per una cosa che l’uomo ricorda, ve ne sono sempre dieci, ben più importanti, che dimentica. “Per questo, le sue opinioni e i suoi punti di vista sono privi di qualsiasi stabilità e precisione. L’uomo non ricorda ciò che ha pensato o detto; e non ricorda come ha pensato o come ha parlato. “Ciò è, a sua volta, in rapporto con una delle caratteristiche fondamentali dell’atteggiamento dell’uomo verso sé stesso e verso gli altri, vale a dire: la sua costante ‘identificazione’ a tutto ciò che prende la sua attenzione, i suoi pensieri o i suoi desideri, e la sua immaginazione.

“L’ ‘identificazione’ è una caratteristica talmente comune, che nell’intento di osservare sé stessi, è difficile separarla da altre cose. L’uomo è sempre in stato di identificazione, ciò che cambia è solo l’oggetto della sua identificazione. “L’uomo si identifica con un piccolo problema che trova sul suo cammino e dimentica completamente i grandi scopi che si proponeva all’inizio del suo lavoro. Si identifica con un pensiero e dimentica tutti gli altri. Si identifica con una emozione, con un umore, e dimentica gli altri suoi sentimenti più profondi. Lavorando su di sé, le persone si identificano talmente con scopi isolati da perdere di vista l’insieme. I pochi alberi più vicini finiscono per rappresentare, per loro, tutta la foresta. “L’identificazione è il nostro nemico più terribile, perché penetra ovunque e ci inganna proprio nel momento in cui crediamo di lottare contro di essa. Se ci è tanto difficile liberarci dalla identificazione, è perché ci identifichiamo più facilmente con le cose a cui siamo maggiormente interessati, quelle alle quali diamo tutto il nostro tempo, il nostro lavoro e la nostra attenzione. Per liberarsi dall’identificazione, l’uomo deve stare costantemente in guardia ed essere inflessibile verso sé stesso: non deve aver paura di smascherare tutte le sue forme più sottili e nascoste. “L’identificazione è l’ostacolo principale al ricordarsi di sé. Un uomo che si identifica è incapace di ricordarsi di sé stesso. Per potersi ricordare di sé, occorre per prima cosa non identificarsi. Ma per imparare a non identificarsi, l’uomo deve innanzi tutto non identificarsi con sé stesso, non chiamare sé stesso ‘io’ sempre e in tutte le occasioni. Egli deve ricordarsi che in lui sono due, che c’è lui stesso, cioè ‘Io’ in lui, e un altro, con il quale deve lottare e che deve vincere se desidera raggiungere qualcosa. Fin quando un uomo si identifica o è suscettibile di identificarsi, è schiavo di tutto ciò che può accadergli. La libertà significa innanzi tutto: liberarsi dall’identificazione.


Rendere attiva l’essenza

di Josè Reyes 

6 ottobre 2010

3ème Millénaire n.87 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini

3m. Se osservo il mio comportamento durante le attività della giornata, costato a che punto sono reattivo, in reazione. In più queste reazioni sono molto spesso negative: paura, collera o irritazione, resistenza a ciò che mi è chiesto, inerzia, tensioni fisiche! Sono totalmente identificato in quegli stati…E’ questa la realtà?

J.R. Si, è la realtà. Generalmente guardiamo il mondo e gli eventi secondo il colore delle nostre lenti. Possiamo perciò veramente dire che è la realtà, ma bisogna precisare che si tratta di una realtà soggettiva. Per vedere che cosa è reale, non dobbiamo essere identificati. Infatti l’identificazione impedisce il contatto con la realtà e diventiamo la nostra propria realtà soggettiva. In altre parole, le mie emozioni negative per me sono vere, finché sono identificato con loro.

La prima cosa da vedere prima di essere capaci di distinguere la realtà, è quella di trovarci in uno stato di separazione a partire dal quale si può spingere il nostro centro di gravità verso l’osservatore, che è un processo sociologico che non è centrato né nei pensieri, né nei sentimenti, né nelle sensazioni. E’ il significato del lavoro su di sé, per il quale cominciate a discriminare due stati di comportamento. Il primo è quello in cui siete completamente assorbiti da un pensiero, un sentimento o una sensazione (e diventate uno con quel pensiero, quel sentimento, quella sensazione); nel secondo, potete vedere nello stesso tempo lo stato in cui siete e voi stessi.

3m. Essere a un livello d’osservazione attraverso cui possiamo vedere noi stessi e al tempo stesso il nostro comportamento è insolito nella vita ordinaria. Come posso sperimentare questo stato d’essere specifico nella mia vita quotidiana? C’è una strada da seguire?

J.R. Si, dovete diventare un uomo n.4. Finché siete un uomo 1, 2 o 3*, la vostra osservazione di voi stessi sarà sempre colorata dalla percezione del centro dove si trova stabilito il vostro centro di gravità. Il modo in cui vediamo il nostro comportamento è dunque sia attraverso il centro intellettuale sia attraverso le emozioni. Gurdjieff diceva che la percezione con un solo centro è follia, con due centri è allucinazione.

Secondo il nostro Insegnamento (la Quarta Via) l’uomo n. 4 è quello che, grazie al lavoro su di sé ha raggiunto uno stato d’equilibrio dei 3 centri. Questo significa che le sue funzioni sono ora coordinate armoniosamente per potere nutrire l’essenza. Così diventa maturo rispetto alle sue emozioni.

Per chiarire ciò che si sta dicendo, si può fare un’analogia con una casa: lasciata nel caos più totale il cui padrone è assente e dove ogni domestico si chiama Io. Questa casa ha tre livelli. I servitori più intelligenti decidono di eleggere uno di loro al quale tutti devono ubbidire. Questo servitore si chiama anche lui Io, ma non è ancora il vero Io. Comincia a imparare l’Insegnamento, il Lavoro, il funzionamento della casa e realizza che non è che è un amministratore temporaneo, ma non il vero amministratore. Solo quest’ultimo può dirigere la casa e preparare il posto per la venuta del vero Io.

La seconda tappa è quella che chiamiamo l’osservazione di sé, che è l’inizio della comprensione di sé. Questo osservatore è il vero amministratore ed è con l’osservazione che pratica che può cominciare a rafforzare la capacità di separazione tra i me ordinari che abitano ciascuno dei centri. Così prepara la casa all’arrivo dell’Io reale.

3m. Questo insegnamento ricorda la nozione della falsa e vera personalità. Qual è la differenza tra le due personalità? Per andare più lontano, per diventare un uomo n. 4 occorre la scomparsa della falsa personalità? Come la falsa e la vera personalità si legano alla molteplicità dei me, all’amministratore provvisorio e al vero Io?

J.R. C’è una grande differenza tra falsa e vera personalità. La falsa personalità ha una relazione molto ampia con l’ego della persona. Noi agiamo in modo che la gente non dica male di noi, oppure ci comportiamo in modo tale che non pensino che bene di noi.

La personalità pretende e cerca in permanenza d’essere quello che non è. Questo è chiamato la nullità, perché si tratta di un’immagine di noi stessi che abbiamo costruito, basata interamente sull’immaginazione. Con la falsa personalità vogliamo sempre che la gente ci dia valore per qualcosa che non siamo. Mentiamo su noi stessi agli altri e crediamo alle nostre menzogne.

La falsa personalità è molto difficile da distruggere, perché la maggior parte delle abitudini contratte dai centri è stata creata dalle loro scappatoie e vi corrispondono.

La personalità, riguardo a lei, non è totalmente negativa, non esiste solo a nostro svantaggio; al contrario, è necessaria, ma al posto giusto. La personalità è il nostro sapere, la nostra esperienza, l’addestramento che abbiamo ricevuto, il modo in cui ci prendiamo in carico, e quella in cui rispondiamo alle esigenze della vita. Il problema è che questa personalità agisce nella vita senza partecipazione della nostra essenza. Per ogni attività della giornata lei prende l’iniziativa. La sede della personalità è situata nell’apparecchio formatore*, e questo ha per conseguenza che essa utilizza parole o argomenti in risposta alle situazioni nelle quale ci pone la vita.

La Quarta Via ci procura dei mezzi che possiamo utilizzare per ribaltare la situazione, in altre parole permettere all’essenza di diventare attiva e di rendere passiva la personalità. Questo affinché l’essenza possa usare la personalità secondo le necessità del momento, secondo quanto è richiesto in una data situazione. E’ la tappa dell’uomo n.4 nel quale i centri sono equilibrati. Ciò significa che l’iniziativa nella sua totalità è presa dal vero Io. A questo livello l’ego non detta più il suo comportamento alla persona. L’ego scompare giacché la persona non vive più in apparenza e la nullità non ha più bisogno di pretendere d’essere, poiché la persona “è”.

I diversi me vengono dai centri. Ci sono me intellettuali, emozionali e psichici. Questi me nella loro molteplicità sono chiamati i servitori della casa. L’amministratore transitorio è uno di quei me, generalmente situato  al livello del centro intellettuale ed è lui che impara il Lavoro e cerca di applicarlo. Ma manca di forza ed è particolarmente debole quando due o tre altri me arrivano insieme e non si assoggettano a tutto quello che il Lavoro può dire di fare.

D’altra parte, il vero amministratore non è più uno dei me. Egli è prodotto dall’osservazione di sé e deriva dallo sguardo  sulla realtà della nostra imparzialità. Non è fatto dello stesso materiale dei me inferiori che non dispongono di un reale controllo sui centri. L’amministratore invece ha un controllo totale sul funzionamento di ciascuno dei centri, per l’energia prodotta dal ricordo di sé. Per questo è detto che prepara la casa per l’arrivo del vero Io, il suo vero proprietario.

3m. Il processo che descrivete conduce all’idea di una scala nei livelli di realtà, cioè dove ciascuno sperimenta la realtà secondo il suo livello. Questi livelli si riferiscono a energie di sottigliezza variabile, come per esempio quella derivata dal ricordo di sé?

J.R. Si, la realtà è percepita in funzione del livello di energia che siamo capaci di produrre, di nutrire e di mantenere.

Se applichiamo questo alla nostra vita quotidiana, possiamo facilmente costatare che il nostro umore dipende molto dall’energia di cui disponiamo secondo i momenti. Quando siamo contenti, tutto appare come su un letto di rose, ma quando siamo di cattivo umore, non abbiamo che le spine.

Ogni energia ci dà una capacità più o meno grande di percepire la realtà, che può essere altamente soggettiva per quelli il cui livello di energia è così basso che non vedono altro che il proprio stato.

E’ il caso dell’uomo macchina che vede le cose unicamente con l’energia automatica. Il livello seguente è quello della libera sensibilità, in cui diventate sensibili alle impressioni e coscienti di voi mentre le ricevete. Così non siete solo nell’atto di ascoltare, ma udite, non state solo guardando, ma vedete, non state solo mangiando, ma avete anche il gusto di ciò che mangiate. Non toccate solamente, ma  sentite ciò che toccate. Perché disponete di un’energia nuova, più organizzata dell’energia automatica, quella unicamente basata sulle reazioni, l’essere attirati o il rigetto, il fatto di amare o non amare questo o quello. Al livello della sensibilità, cominciate a essere il padrone delle vostre impressioni. Il livello energetico seguente è quello dell’energia cosciente, in altre parole è il processo cosciente al quale partecipate e per il quale cominciate a dare senso e significato alla vostra vita L’energia cosciente è molto speciale. Contrariamente a quelli che dicono “sono cosciente”, è più appropriato dire che partecipo alla coscienza.

Note.

“ Gli uomini n.1, 2, 3 costituiscono l’umanità meccanica, sono al livello di quando sono nati. L’uomo n.1 ha il centro di gravità della sua vita psichica nel centro motore… L’uomo n.2 nel centro emozionale… L’uomo n.3 nel centro intellettuale… L’uomo n.4 ha un centro di gravità permanente, in lui un centro non può avere sugli altri una preponderanza.”( P. D. Ouspensky. Frammenti di un Insegnamento sconosciuto).

Apparecchio formatore. “La parte meccanica del centro intellettuale porta un nome speciale. Se ne parla a volte come di un centro separato e in quel caso è chiamato apparecchio formatore. Una delle particolarità è che non può paragonare che due cose, non può pensare che in termini di estremi e cerca subito il contrario”( Ouspensky).


Il linguaggio delle parabole – Parte prima.

Estratto da “ UOMO NUOVO ”

di Maurice Nicoll

PARTE PRIMA

La Sacra Scrittura ha un senso esteriore ed un senso interiore. Dietro al senso letterale c’è un altro senso, un’altra forma di conoscenza. Secondo un’antica tradizione, l’uomo, una volta, conosceva profondamente, interiormente. Ci sono molti episodi nel Vecchi Testamento che presumono un’altra conoscenza, un significato del tutto diverso da quello che si ricava dal senso letterale delle parole. Il racconto dell’Arca, quello del servo del Faraone e del fornaio, quello della Torre di Babele, il racconto di Giacobbe ed Esaù ed un piatto di lenticchie e molti altri contengono un significato psicologico interiore ben più profondo di quello letterale. E nei Vangeli la parabola viene usata in modo analogo. Nei Vangeli si fa largo uso delle Parabole. Così come sono, considerandone solo l senso letterale, esse si riferiscono in apparenza a vigne, a capifamiglia, ad amministratori, a figli prodighi, all’olio, all’acqua e al vino, ai semi, ai seminatori, ai campi ed a molte altre cose. Questo è ciò che si ricava da una lettura superficiale. Il linguaggio delle parabole è difficile da capire così come, generalmente, è difficile da capire il linguaggio di ogni scritto sacro. Visti in modo letterale sia il Vecchio che il Nuovo Testamento non sono solo contraddittori, ma molto crudeli e ripugnanti.

Il problema è: perché questi scritti sacri non spiegano chiaramente ciò che vogliono esprimere? Se i racconti di Giacobbe ed Esaù, o ancora, della Torre di Babele o dell’Arca che galleggiava durante il diluvio non sono veri se interpretati solo in modo letterale, ma possono invece avere un significato più profondo, perché tutto questo non è stato scritto in modo evidente? Allora perché si fa uso delle parabole nei Vangeli? Perché non dire chiaramente il significato? Chi pensa così potrebbe chiedersi perché il racconto della Creazione nella Genesi, che non può essere inteso solo in senso letterale, possa significare anche qualcos’altro, qualcosa di nascosto che dà il vero senso, al di là di ciò che esprimono le parole prese alla lettera. Allora egli potrebbe giustamente concludere che le cosiddette sacre scritture non sono altro che un inganno senza un contenuto da comprendere e da svelare. Se tutti questi racconti, queste storie, allegorie, miti, similitudini e parabole nelle sacre scritture vogliono esprimere qualcos’altro, perché non si stabilire chiaramente dall’inizio ciò che vogliono dire di modo che tutti possano comprendere? Perché velare ogni cosa? Perché tutto questo mistero, questa oscurità?

L’idea nascosta dietro ogni scritto sacro è quella di trasmettere un significato più elevato di quello contenuto nelle parole nel loro significato letterale, e la verità di quanto è trasmesso deve essere verificata dall’uomo internamente. Questo significato più elevato, nascosto, interiore o esoterico, adombrato dalle parole e dalle immagini quotidiane, può essere solo intuito; da qui la difficoltà, per l’uomo, di dare alla realtà un senso superiore. Il livello di comprensione letterale di una persona non è necessariamente uguale al suo livello di comprensione del significato psicologico. Capire in modo letterale è una cosa, capire psicologicamente un’altra. Facciamo alcuni esempi. Il comandamento dice: “Non ucciderai”. Questo è il livello letterale. Ma il significato psicologico è “ Non commetterai omicidio nel tuo cuore”. Il primo significato è letterale, il secondo è psicologico ed è specificato chiaramente nel Levitico. Un altro comandamento: “Non commetterai adulterio” è il significato letterale, ma il significato psicologico, che va più in là, si riferisce all’insiemismo dottrinale. Per questo spesso è detto che la gente cominciò a prostituirsi seguendo altri dèi, e così via. Ancora, il significato letterale del comandamento: “Non ruberai” è ovvio, ma il significato interiore è molto più profondo. Rubare, dal punto di vista psicologico, significa pensare che si possa fare tutto con le proprie forze, da soli, non comprendendo che io non so chi sono, cosa penso, come sento e forse neppure come orientarmi. E’ come pensare che tutto ci sia dovuto e di attribuire a sé stessi ogni merito. Invece è solo una possibilità. Ma se si dicesse direttamente questo ad un uomo, egli non capirebbe. Così, il significato rimane nascosto, perché, se fosse spiegato, nessuno ci crederebbe, e tutti lo considererebbero un’assurdità. L’idea non solo non sarebbe capita, ma anzi sarebbe considerato ridicola. La conoscenza superiore, il significato superiore, se viene portato al livello ordinario di comprensione, sembrerà un’assurdità e non sarà compreso. Il significato superiore può essere dato solo a coloro che sono vicini a comprenderne il senso giusto. Questa è una delle ragioni per cui il vero senso di tutti gli scritti sacri deve essere nascosto, così com’è, dall’involucro esterno dell’espressione letterale. Non si tratta di ingannare la gente, ma di una questione legata alla necessità di salvaguardare questo significato e di evitare che venga frainteso e banalizzato, distruggendo il suo senso profondo. La gente pensa talvolta di poter comprendere ogni cosa, quando la sente. Ma ciò è assolutamente errato. Lo sviluppo della comprensione, la visione delle differenze è un processo lungo. Tutti sanno che non si può trasmettere la conoscenza della vita ai bimbi piccoli perché la loro comprensione è limitata. Ancora, è certo, che ci sono taluni argomenti, anche nella vita ordinaria, che non possono essere compresi senza una lunga preparazione, come per esempio alcune branche della scienza, dove non è sufficiente soltanto sapere di cosa trattino. Il fine di tutti gli scritti sacri è di trasferire un senso superiore ed una conoscenza superiore partendo da una conoscenza ordinaria.

Le parabole hanno un senso ordinario. Il fine delle parabole è di dare all’uomo un significato superiore partendo da un senso ordinario inferiore di modo che egli possa intendere da solo oppure no. La parabola serve proprio a questo. Può succedere che un uomo la prenda alla lettera o che invece incominci a pensare: essa lo invita a pensare. Un uomo prima di tutto capisce ciò che per lui è ordinario, ciò che è al suo livello naturale. Prima di astrarre egli parte da questo punto naturale. Questa è la situazione da cui un uomo parte, prima di impossessarsi di un insegnamento. Ma la parabola ha un significato che va al di là del senso letterale o naturale. Essa è stata deliberatamente congegnata per colpire prima i sensi e poi per lavorare sulla mente al fine di elevare il livello naturale di comprensione ad un altro livello. Da questo punto di vista la parabola è, riguardo alla comprensione, uno strumento di trasformazione. Come vederemo più avanti la parabola è anche un tramite tra un livello banale ed uno superiore nello sviluppo della comprensione.