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Equinozio di Primavera

Equinozio: Dal Latino Medioevale aequnoxium, dal Latino aequinoctium: aequi-,equi+nox-noct  

Il 20 Marzo (alcuni anni il 21) non è solo un indicatore del cambio di stagione,  è significativo per ragioni astronomiche. Il Sole passa direttamente sopra l’equatore della Terra. Questo momento è conosciuto come Equinozio Vernale (di Primavera) nell’emisfero Nord. Per l’emisfero Sud questo è il momento dell’Equinozio d’Autunno. Durante gli equinozi, il giorno e la notte hanno uguale durata in tutto il mondo, poiché il sole è posizionato sopra l’equatore.

Le generazioni hanno riconosciuto l’Equinozio Vernale per migliaia di anni. Ci sono diversi rituali e tradizioni  attorno all’arrivo della primavera. Per molte di esse la ragione basilare era il fatto che le loro scorte di cibo sarebbero state presto rinnovate. Nella Cristianità la data è significativa perché la Pasqua cade sempre la prima Domenica dopo la prima luna piena dopo l’Equinozio Vernale.  Gli Egizi inoltre costruirono la Grande Sfinge in modo che essa fosse diretta verso il punto in cui il sole sorge nel giorno dell’Equinozio di Primavera.

L’Equinozio di Primavera è anche conosciuto come “il primo punto dell’Ariete”, è il momento in cui il sole comincia ad attraversare l’equatore celeste da sud a nord. L’equinozio di primavera, è un momento di rinnovamento sia per la natura che per l’uomo.

In molte antiche culture si crede che l’arrivo della primavera rimuova ogni energia negativa accumulata durante gli oscuri mesi invernali, e che prepari la casa per la crescente energia positiva della primavera e dell’estate. In questo momento le quantità di buio e luce sono bilanciate, dodici ore ciascuna, giorno e notte. E’ un momento di equilibrio nell’anno. L’equinozio primaverile era considerato l’inizio del nuovo anno pagano.

Era un periodo di gioia richiamato dalla resurrezione della “ Luce del Mondo” (il Dio Sole) dal mondo sotterraneo dell’inverno, da dove egli sorge per raggiungere la sua dea Eastra. (la Pasqua–Easter- è così chiamata dall’antico nome della dea della Primavera, Eastra.)

Tutto ciò trova le sue primitive origini nelle prime culture europee e mediorientali, le cui festività maggiori riguardavano la resurrezione e/o la liberazione dalla schiavitù, basate attorno all’Equinozio di Primavera. Ma migliaia di anni prima dell’Era Cristiana, l’Equinozio di Primavera segnalava l’inizio della stagione della rinascita. La resurrezione della natura e di molti antichi déi pagani. I Babilonesi e gli Assiri davano una maggiore importanza agli Equinozi rispetto ai Solstizi.

La festività Babilonese più importante era la celebrazione dell’anno nuovo, che ricorreva nell’Equinozio di Primavera.

La struttura religiosa antica, più significativa per gli ebrei ( e più tardi anche per i cristiani), era il Tempio di Salomone a Gerusalemme, orientato verso l’alba dell’Equinozio. Ogni Equinozio di Primavera, nel periodo della antica festa agriculturale della semina, la luce era fatta entrare attraverso un passaggio aperto dalla porta di accesso del Tempio fino a cadere sull’alto altare e nel Santo dei Santi (Sancto Sancturum). E’ stato notato che “ è evidente…che l’entrata della luce del Sole nell’Equinozio di Primavera, formava parte del cerimoniale. Essendo i preti nella Zona Santa, i fedeli, con la schiena verso il sole, potevano vedere gli alti preti dalla luce del sole riflessa dai gioielli della loro veste”.

L’Equinozio di Primavera è un momento speciale nel quale c’è una qualità di energia nel nostro pianeta. Energia per piantare, energia per crescere, energia per rinnovare le nostre vite. Ciò che accade è che la vita stessa si sta rinnovando, perché l’energia sta emergendo dal suolo, dove è rimasta addormentata nella terra dal Solstizio d’Inverno.

© Gurdjieff Dominican Group


Enneagramma

“Le persone hanno del mondo migliaia di idee diverse, ma manca loro quell’idea generale che permetterebbe di comprendersi l’un l’altro e di determinare subito da quale punto di vista essi intendono considerare il mondo. “È impossibile studiare un sistema dell’universo senza studiare l’uomo. Allo stesso tempo è impossibile studiare l’uomo senza studiare l’universo. L’uomo è un’immagine del mondo. Egli è stato creato dalle medesime leggi che crearono l’insieme del mondo. Se un uomo conoscesse e comprendesse se stesso, conoscerebbe e comprenderebbe il mondo intero, tutte le leggi che creano e che governano il mondo. E inversamente, con lo studio del mondo e delle leggi che lo governano, apprenderebbe e comprenderebbe le leggi che governano anche lui.

 L’enneagramma è un simbolo sacro, un diagramma universale. Dal greco Ennea “nove” e grammean “punti”. L’enneagramma è una bussola per il ricercatore in viaggio dall’illusione verso la Realtà, dalla separazione all’unione. L’enneagramma è un sistema dinamico di nove coordinate e può essere utilizzato per rappresentare ogni processo reale: vegetale, animale, umano, cosmico. Il simbolo dell’enneagramma ha la capacità di applicarsi a vari livelli, poiché esso è un simbolo oggettivo che presenta le leggi della creazione e del mantenimento dell’universo, secondo il principio “come in alto così in basso”; esso si applica al grande come al piccolo. Il disegno dell’enneagramma è stato presentato per la prima volta da Gurdjieff all’inizio del’900 ai suoi studenti aprendo la porta a questo strumento per l’occidente. L’enneagramma permette di osservare come i nostri processi, così come i processi del mondo, prendono forma in armonia con le leggi cosmiche. Tali leggi fondamentali sono la Legge dell’Uno, la Legge del Tre e la Legge del Sette. L’enneagramma mostra l’interazione di queste leggi combinando la fusione ed il dinamismo proprie alla natura della triade e dell’esade.

 

 

Il cerchio rappresenta l’identità del fenomeno o Legge dell’Uno. Il triangolo è il simbolo della triade creativa o Legge del Tre. L’esade è la rappresentazione dell’ordine della manifestazione o Legge del Sette. La prima legge ci mostra come ogni essere e ad ogni processo possiedono una propria identità, come essi siano un tutto integrale in relazione con sé stesso e gli altri. Il lavoro con l’enneagramma in questo caso ci aiuta a scoprire qual’è la vera identità di un fenomeno o  il nostro vero sé, oscurato dal falso. La legge del tre manifesta come ogni fenomeno reale per sorgere ha bisogno di tre forze o principi: attiva, passiva e riconciliante. La legge del sette ci parla di come nulla di ciò che è stato creato rimane statico, ma evolve o involve, secondo sette passaggi fondamentali.

“In senso generale, bisogna comprendere che l’enneagramma è un simbolo universale. Ogni scienza ha un posto nell’enneagramma e può essere interpretata per mezzo dell’enneagramma. Sotto questo rapporto si può dire che un uomo non conosce veramente, cioè non comprende, se non quello che è capace di inserire nell’enneagramma. Ciò che non è in grado di porre nell’enneagramma non lo comprende. Per un uomo che sappia utilizzarlo,l’enneagramma rende libri e biblioteche del tutto inutili; ogni cosa può essere inclusa e letta nell’enneagramma. Un uomo isolato nel deserto che tracci l’enneagramma sulla sabbia, può leggere in esso le leggi eterne dell’universo. Ed ogni volta egli può imparare qualcosa di nuovo, qualcosa che prima ignorava del tutto. L’enneagramma è il geroglifico fondamentale di un linguaggio universale con tanti significati diversi quanti sono i livelli umani. “L’enneagramma è il moto perpetuo, è quel perpetuum mobile che gli uomini hanno cercato dalla più lontana antichità, e sempre invano. Non è poi difficile capire perché essi non abbiano potuto trovarlo. Essi cercavano al di fuori di sé stessi ciò che era in loro; essi cercavano di costruire un movimento perpetuo come si costruisce una macchina, mentre il movimento perpetuo è parte di un altro movimento perpetuo, e non può essere creato separatamente da questo. L’enneagramma è un diagramma schematico del moto perpetuo cioè una macchina dal movimento eterno. Ma naturalmente è necessario sapere come leggere questo diagramma. La comprensione di questo simbolo e la capacità di farne uso dà all’uomo un grandissimo potere. È il moto perpetuo ed è anche la pietra filosofale degli alchimisti.

“La scienza dell’enneagramma è stata tenuta segreta molto a lungo e se ora è, in certo modo, resa accessibile a tutti, lo è solo in forma incompleta e teorica, inutilizzabile in pratica da chiunque non sia stato istruito in questa scienza da un uomo che la possieda.


“ Conoscere vuol dire conoscere tutto, non conoscere tutto vuol dire non conoscere. Per conoscere tutto è necessario conoscere assai poco, ma per conoscere quel poco una persona deve prima conoscere molto”

G.I.Gurdjieff


Cristianesimo Esoterico

Chiunque è interessato a questo lavoro, deve cercare di comprendere il ruolo che il cristianesimo ha svolto nella vita di Gurdjieff, e negli insegnamenti che egli ha portato in Occidente. La Quarta Via così come Gurdjieff ha voluto trasmetterla, approccia ad una genuina trasformazione attraverso l’Amore e la Compassione, dove gli sforzi verso l’evoluzione spirituale non sono separati dal nostro “Comune Padre Creatore” come Gurdjieff lo chiama nei “Racconti di Belzebù a suo nipote”.

Dopo la morte di Gurdjieff  l’idea di Cristo è stata pian piano messa in secondo piano, come fosse qualcosa di non essenziale, presentando così il Lavoro freddo e privo di veri sentimenti, rendendolo solo una proposizione intellettuale. L’ idea di “cristianesimo esoterico” è stata presentata da Gurdjieff stesso nei suoi insegnamenti, nei suoi diversi manoscritti e nei discorsi che ha tenuto.

Gurdjieff era sempre molto diretto quando gli veniva chiesto di Cristo e del cristianesimo o quando egli stesso scriveva su questo tema:

Qual è il rapporto dell’insegnamento che voi esponete con il Cristianesimo quale noi lo conosciamo?”, domandò qualcuno.

“Non so quello che sapete del Cristianesimo, rispose G., accentuando questa parola. Sarebbe necessario parlare molto a lungo per chiarire che cosa intendete con questo termine. Ma per coloro che sanno, dirò, se volete, che questo è Cristianesimo esoterico. “Dovete capire, diceva, che ogni vera religione, parlo di quelle create con uno scopo preciso da uomini veramente sapienti, comporta due parti. La prima insegna ciò che deve essere fatto. Questa parte rientra nella sfera delle conoscenze generali e si corrompe col tempo man mano che si allontana dalla sua origine. L’altra parte insegna come fare ciò che insegna la prima. Essa è conservata segretamente in certe scuole e col suo aiuto è sempre possibile rettificare ciò che è stato falsato nella prima parte, o reintegrare ciò che è stato dimenticato. “Senza questa seconda parte, non può esistere conoscenza della religione o, in ogni caso, questa conoscenza resta incompleta e molto suggestiva. “Questa parte segreta esiste nel Cristianesimo, così come in tutte le altre religioni autentiche, e insegna come seguire i precetti del Cristo e ciò che essi realmente significano”.

“In genere conosciamo pochissimo del Cristianesimo e delle forme del culto cristiano, non conosciamo affatto la sua storia, come pure l’origine di un’infinità di cose. Per esempio la chiesa, il tempio dove si riuniscono i fedeli e dove sono celebrati gli uffizi secondo riti particolari, quali origini ha? Quanta gente non vi ha mai pensato! Taluni ritengono che le forme esteriori del culto, i riti, i cantici, siano stati inventati dai Padri della Chiesa. Altri pensano che le forme esteriori sono state prese a prestito in parte dai pagani, ed in parte dagli ebrei. Ma tutto ciò non è vero. La questione delle origini della Chiesa cristiana, vale a dire del tempio cristiano, è molto più interessante di quel che pensiamo. Innanzi tutto, la Chiesa e il culto, nella forma sotto la quale apparivano nei primi secoli dell’era cristiana, non poteva derivare dal paganesimo; non vi era niente di simile, né nei culti greci e romani, né nel giudaismo. La sinagoga, il tempio ebreo, i templi greci e romani, con i loro numerosi dei, erano molto differenti dalla chiesa cristiana, quale essa apparve nel primo e nel secondo secolo. La chiesa cristiana è una scuola e nessuno sa più che lo sia. Immaginatevi una scuola, dove i maestri tengano le loro lezioni e le loro dimostrazioni senza sapere che si tratta di lezioni e di dimostrazioni e dove gli allievi o i semplici auditori considerino questi corsi e dimostrazioni come cerimonie, riti o ‘sacramenti’, ossia magia. Questo assomiglierebbe molto alla chiesa cristiana dei nostri giorni.

“La chiesa cristiana, la forma cristiana del culto, non sono state inventate dai Padri della Chiesa. Tutto è stato preso in Egitto — ma non dall’Egitto a noi noto: bensì da un Egitto che non conosciamo. Quell’Egitto era nello stesso luogo dell’altro, ma era esistito molto tempo prima. Solo infime vestigia sono sopravvissute nei tempi storici, ma furono conservate in segreto, e così bene che non sappiamo nemmeno dove. “Vi sembrerà strano se dico che questo Egitto preistorico era cristiano molte migliaia d’anni prima della nascita di Cristo, o per meglio dire che la sua religione si fondava sugli stessi principi, sulle stesse idee del vero Cristianesimo. In questo Egitto preistorico, vi erano speciali scuole chiamate ‘scuole di ripetizione’. In quelle scuole si davano a date fisse, e in alcune di esse anche tutti i giorni, delle ripetizioni pubbliche, in forma condensata, del corso completo delle scienze insegnate. La ‘ripetizione’ durava talvolta una settimana intera o anche un mese. Grazie a queste ‘ripetizioni’ coloro che avevano seguito i corsi conservavano il contatto con le scuole e potevano così ritenere tutto ciò che avevano imparato. Alcuni venivano da molto lontano per assistere a queste ‘ripetizioni’ e ripartivano con un sentimento nuovo della loro appartenenza alla scuola. Nel corso dell’anno, c’erano giornate speciali consacrate a delle ripetizioni molto più complete, che si svolgevano con una solennità particolare e questi stessi giorni prendevano un senso simbolico. “Queste scuole di ripetizione servirono di modello alle chiese cristiane. Nelle chiese cristiane le forme di culto rappresentano, quasi interamente, ‘il ciclo di ripetizione’ delle scienze che trattano dell’Universo e dell’uomo. Le preghiere individuali, gli inni, il responsorio, tutto aveva, in queste ripetizioni, il suo proprio senso così come le feste e tutti i simboli religiosi; ma il loro significato è stato perso da molto tempo”.

 


Sapere ed Essere

ESTRATTO DA “FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO” di P.D.Ouspensky

Durante quasi tutte le sue spiegazioni G. ritornava su un tema che evidentemente considerava della massima importanza, ma che parecchi tra noi avevano molta difficoltà ad assimilare.

“Lo sviluppo dell’uomo, egli diceva, si effettua secondo due linee, ‘sapere’ ed ‘essere’. Ma affinché l’evoluzione avvenga correttamente, le due linee devono procedere insieme, parallele l’una all’altra e sostenersi reciprocamente. Se la linea del sapere sorpassa troppo quella dell’essere, e se la linea dell’essere sorpassa troppo quella del sapere, lo sviluppo dell’uomo non può farsi regolarmente; prima o poi deve fermarsi. “La gente afferra ciò che si intende per ‘sapere’. Si riconosce che il sapere può essere più o meno vasto e di qualità più o meno buona. Ma questa comprensione non viene applicata all’essere. Per essi l’essere significa semplicemente ‘ l’esistenza ‘ che contrappongono alla ‘non esistenza’. Non comprendono che l’essere può situarsi a livelli molto differenti e comportare diverse categorie.

Prendete per esempio l’essere di un minerale e l’essere di una pianta. Sono due esseri differenti. L’essere di una pianta e quello di un animale sono anch’essi due esseri differenti, e così pure l’essere di un animale e quello di un uomo. Ma due uomini possono differire nel loro essere più ancora di quanto un minerale e un animale differiscono tra loro. E questo è proprio ciò che le persone non comprendono. Non comprendono che il sapere dipende dall’essere. E non soltanto non lo comprendono, ma non lo vogliono comprendere. In modo particolare nella civiltà occidentale, si ammette che un uomo possa avere un vasto sapere, che per esempio egli possa essere un illustre sapiente, autore di grandi scoperte, un uomo che fa progredire la scienza, e nello stesso tempo possa essere, ed abbia il diritto di essere, un povero piccolo uomo egoista, cavilloso, meschino, invidioso, vanitoso, ingenuo e distratto. Sembra normale che un professore debba dimenticare dappertutto il suo ombrello. Eppure è proprio questo il suo essere. Ma si ritiene, in occidente, che il sapere di un uomo non dipende dal suo essere. Le persone accordano un valore massimo al sapere, ma non sanno accordare all’essere un valore eguale e non si vergognano del livello inferiore del loro essere. Non si comprende neppure ciò che questo significhi. Non si comprende che il grado del sapere di un uomo è in funzione del grado del suo essere.

“Allorché il sapere sorpassa di troppo l’essere, esso diventa teorico, astratto, inapplicabile alla vita; può anche diventare nocivo, perché invece di servire la vita e aiutare le persone nella lotta contro le difficoltà questo sapere comincia a complicare tutto; di conseguenza non può che apportare nuove difficoltà, nuovi turbamenti ed ogni sorta di calamità che prima non esistevano. “La ragione di ciò è che il sapere, quando non è in armonia con l’essere, non potrà mai essere abbastanza grande, o per meglio dire, sufficientemente qualificato per i reali bisogni dell’uomo. Sarà il sapere di una cosa legato all’ignoranza di un’altra; sarà il sapere del particolare legato all’ignoranza del tutto, il sapere della forma che ignora l’essenza. “Una tale preponderanza del sapere sull’essere può essere constatata nella cultura attuale. L’idea del valore e dell’importanza del livello del l’essere è stata completamente dimenticata. Non si comprende più che il livello del sapere è determinato dal livello dell’essere. Effettivamente ad ogni livello di essere corrispondono determinate possibilità di sapere, ben definite. Nei limiti di un certo ‘essere’ la qualità del sapere non può essere cambiata; solo è possibile l’accumularsi di informazioni di una sola e medesima natura. Un cambiamento della natura del sapere è impossibile senza un cambiamento nella natura dell’essere.

“Preso in sé, l’essere di un uomo presenta molteplici aspetti. Quello dell’uomo moderno si caratterizza soprattutto per l’assenza di unità in se stesso e per l’assenza della benché minima traccia di quelle proprietà che specialmente ama attribuirsi: la ‘lucidità di ‘coscienza’, la ‘volontà libera’, un ‘Ego permanente’ o ‘Io’ e la ‘capacità di fare’. Sì, per stupefacente che ciò possa sembrarvi, vi dirò che la caratteristica principale dell’essere di un uomo moderno, e ciò spiega tutto ciò che gli manca, è il sonno. “L’uomo moderno vive nel sonno; nato nel sonno, egli muore nel sonno. Del sonno, del suo significato e della parte che ha nella vita, parleremo più tardi, ora riflettete soltanto su questo: che cosa può conoscere un uomo che dorme? Se ci pensate, ricordandovi nello stesso tempo che il sonno è la caratteristica principale del nostro essere, subito vi diverrà evidente che un uomo, se vuole realmente conoscere, deve innanzi tutto riflettere sulla maniera di svegliarsi, cioè sulla maniera di cambiare il suo essere.

“In generale l’equilibrio dell’essere e del sapere è anche più importante di uno sviluppo separato dell’uno o dell’altro. Poiché uno sviluppo separato dell’essere o del sapere non è in alcun modo desiderabile. Benché sia precisamente questo sviluppo unilaterale che sembra attrarre particolarmente la gente. “Allorché il sapere predomina sull’essere, l’uomo sa, ma non ha il potere di fare. È un sapere inutile. Al contrario, quando l’essere predomina sul sapere, l’uomo ha il potere di fare, ma non sa che cosa deve fare. Così l’essere che egli ha acquisito non può servirgli a nulla e tutti i suoi sforzi saranno stati inutili. “Nella storia dell’umanità, troviamo numerosi esempi di intere civiltà che perirono sia perché il loro sapere superava il loro essere, sia perché il loro essere superava il loro sapere”.

Il sapere è una cosa, la comprensione è un’altra. Ma la gente confonde spesso queste due idee, oppure non vede nettamente dove sta la differenza. “Il sapere di per sé stesso non dà comprensione. E la comprensione non potrebbe essere aumentata da un accrescimento del solo sapere. La comprensione dipende dalla relazione tra il sapere e l’essere. La comprensione risulta dalla congiunzione del sapere e dell’essere. Di conseguenza l’essere ed il sapere non debbono divergere troppo, altrimenti la comprensione risulterebbe molto distante dall’uno e dall’altro. Ripetiamo: la relazione tra il sapere e l’essere non cambia per un semplice accrescimento del sapere. Essa cambia solamente quando l’essere cresce parallelamente al sapere. In altri termini, la comprensione non cresce che in funzione dello sviluppo dell’essere. “Le persone, sovente confondono questi concetti e non afferrano chiaramente quale è la differenza tra di essi. Pensano che se si sa di più, si deve comprendere di più. Questo è il motivo per cui esse accumulano il sapere o quello che chiamano così, ma non sanno come si accumula la comprensione e non se ne preoccupano. “Tuttavia una persona esercitata all’osservazione di sé, sa con certezza che in differenti periodi della sua vita ha compreso una stessa idea, uno stesso pensiero, in modo totalmente diverso. Sovente le sembra strano, di aver potuto comprendere così male ciò che adesso crede di comprendere così bene. E, ciononostante, si rende conto che il suo sapere è rimasto lo stesso, e che oggi non sa niente più di ieri. Che cosa dunque è cambiato? È il suo essere che è cambiato. Quando l’essere cambia, anche la comprensione deve cambiare.

“La differenza tra il sapere e la comprensione ci diventa chiara quando ci rendiamo conto che il sapere può essere funzione di un solo centro. La comprensione, invece, risulta dalla funzione di tre centri. Così l’apparecchio del pensiero può sapere qualcosa. Ma la comprensione appare soltanto quando un uomo ha il sentimento e la sensazione di tutto ciò che si ricollega al suo sapere. “Non vi è nulla nel mondo, dal sistema solare fino all’uomo e dall’uomo fino all’atomo, che non salga o non scenda, che non si evolva o non degeneri, che non si sviluppi o non decada. Ma nulla si evolve meccanicamente. Solo la degenerazione e la distruzione procedono meccanicamente. Ciò che non può evolversi coscientemente, degenera. L’aiuto esterno non è possibile che nella misura in cui è apprezzato e accettato, anche se esso lo è all’inizio solo dal sentimento. “Il linguaggio che permette la comprensione, si basa sulla conoscenza del rapporto dell’oggetto che si esamina con la sua evoluzione possibile, sulla conoscenza del suo posto nella scala evolutiva. “A questo fine, un gran numero delle nostre idee comuni sono divise in conformità agli stadi di questa evoluzione.


Conoscenza ed osservazione di sé

ESTRATTO DA “FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO” di P.D.Ouspensky

Come può l’uomo essere indipendente dalle influenze esteriori, dalle grandi forze cosmiche, quando è schiavo di tutto ciò che lo circonda? Egli è in balia di tutte le cose intorno a lui. Se fosse capace di liberarsi dalle cose, potrebbe anche liberarsi dalle influenze planetarie. “Libertà, liberazione. Questo deve essere lo scopo dell’uomo. Diventare libero, sfuggire alla schiavitù — ecco ciò per cui un uomo dovrebbe lottare allorché è diventato, anche solo un poco, cosciente della sua situazione. Questa è la sola via d’uscita per lui, poiché nient’altro è possibile finché resta uno schiavo, interiormente ed esteriormente. Ma non può cessare d’essere schiavo esteriormente finché resta schiavo interiormente. Così, per diventare libero, deve conquistare la libertà interiore. “La prima ragione della schiavitù interiore dell’uomo è la sua ignoranza, e, soprattutto l’ignoranza di sé stesso. Senza la conoscenza di sé, senza la comprensione del moto e delle funzioni della sua macchina, l’uomo non può essere libero, non può governarsi e resterà sempre uno schiavo, in balia delle forze che agiscono su di lui. “Ecco perché, negli insegnamenti antichi, la prima richiesta a chi si metteva sulla via della liberazione, era: ‘Conosci te stesso’ “.

“Queste parole, disse G., che sono generalmente attribuite a Socrate, si trovano alla base di parecchie dottrine e scuole molto più antiche della scuola socratica. Ma benché il pensiero moderno non ignori l’esistenza di questo principio, non ha che un’idea molto vaga del suo significato e della sua portata. L’uomo ordinario del nostro tempo, anche se si interessa alla filosofia o alle scienze, non comprende che il principio ‘Conosci te stesso’ si riferisce alla necessità di conoscere la propria macchina, la ‘macchina umana’. La struttura della macchina è più o meno la stessa in tutti gli uomini; è quindi questa struttura che l’uomo deve per prima cosa studiare, cioè le funzioni e le leggi del suo organismo. “Il principio ‘Conosci te stesso’ ha un contenuto molto ricco. Esso richiede in primo luogo, all’uomo che vuole conoscersi, di comprendere ciò che questo significa, in quale insieme di relazioni s’inscriva questa conoscenza e da che cosa essa necessariamente dipenda.

“La conoscenza di sé è uno scopo molto alto, ma molto vago e distante. L’uomo nel suo stato attuale è molto lontano dalla conoscenza di sé. Questa è la ragione per cui, rigorosamente parlando, lo scopo di un uomo non può essere definito la conoscenza di sé. Il suo grande scopo deve essere lo studio di sé. Per lui sarà ampiamente sufficiente comprendere che deve studiare sé stesso. Ecco lo scopo dell’uomo: cominciare a studiare sé stesso, conoscere sé stesso, nel modo più giusto. “Lo studio di sé è il lavoro, o la via, che conduce alla conoscenza di sé. “Ma per studiare sé stessi, occorre innanzitutto imparare come studiare, da dove cominciare, quali mezzi impiegare. Un uomo deve imparare come studiare sé stesso, deve imparare i metodi dello studio di sé. “Il metodo fondamentale per lo studio di sé è l’osservazione di sé. Senza una osservazione di sé eseguita in modo corretto, un uomo non comprenderà mai come le diverse funzioni della sua macchina siano collegate e in correlazione tra loro, non comprenderà mai come e perché, in lui, ‘tutto accade’.

“Vi sono due metodi di osservazione di sé: il primo è l’analisi, o i tentativi di analisi, cioè i tentativi di trovare una risposta a queste domande: Da che dipende tale cosa, e perché si verifica? Il secondo è il metodo delle constatazioni, che consiste semplicemente nel registrare nella propria mente tutto ciò che si osserva nel momento presente. “L’osservazione di sé, soprattutto all’inizio, non deve con nessun pretesto diventare analisi, o tentativo di analisi. Prima di poter analizzare i fenomeni anche più elementari, un uomo deve accumulare sufficiente materiale sotto forma di ‘registrazioni’. Le registrazioni, risultato di una osservazione diretta di ciò che avviene in un determinato momento, sono il materiale più importante nello studio di sé. Quando le registrazioni siano state raccolte in numero sufficiente e al tempo stesso le leggi siano state studiate e comprese fino a un certo punto, allora l’analisi diventa possibile.

“Quante volte mi avete domandato se non sarebbe possibile arrestare le guerre? Certamente, sarebbe possibile. Basterebbe che la gente si svegliasse. Sembra una cosa da nulla. Non vi è nulla, invece, di più difficile, perché il sonno è indotto e mantenuto dall’intera vita circostante, da tutte le condizioni dell’ambiente. “Come svegliarsi? Come sfuggire a questo sonno? Queste domande sono le più importanti, le più vitali che un uomo si possa porre. Ma prima di porsele, egli dovrà convincersi del fatto stesso del suo sonno. E gli sarà possibile convincersene solo tentando di svegliarsi. Quando avrà compreso che non si ricorda mai di sé stesso, e che il ricordarsi di sé significa risvegliarsi fino ad un certo grado, e quando avrà visto per esperienza quanto sia difficile ricordarsi di sé, allora comprenderà che per svegliarsi non basta desiderarlo. Più rigorosamente, diremo che un uomo non può svegliarsi da sé. Ma se venti uomini si mettono d’accordo e stabiliscono che il primo di essi che si sveglierà, sveglierà gli altri, essi hanno già una possibilità. Tuttavia, anche questo è insufficiente, perché questi venti uomini possono dormire nello stesso tempo e sognare di svegliarsi. Dunque è necessario qualcosa di più. Questi venti uomini devono essere sorvegliati da un uomo che non sia addormentato o che non si addormenti così facilmente come gli altri, o che si metta coscientemente a dormire quando ciò è possibile, quando non può risultarne alcun male né per lui, né per gli altri. Essi devono trovare un tale uomo e accaparrarselo, affinché li svegli e impedisca loro di ricadere nel sonno. Senza questa condizione, è impossibile svegliarsi. Questo bisogna comprenderlo.

“È possibile pensare per migliaia di anni, è possibile scrivere biblioteche intere, inventare teorie a milioni e tutto questo nel sonno, senza alcuna possibilità di risveglio. Al contrario, queste teorie e questi libri inventati e scritti da gente addormentata, avranno semplicemente l’effetto di trascinare altri uomini nel sonno, e così di seguito. “Non vi è niente di nuovo nell’idea del sonno. Fin dalla creazione del mondo, è stato detto agli uomini che essi erano addormentati e che dovevano svegliarsi. Per esempio, quante volte leggiamo nei Vangeli: ‘Svegliatevi’, Vegliate’, ‘non dormite’. I discepoli del Cristo, persino nel Giardino di Getsemani, mentre il loro Maestro pregava per l’ultima volta, dormivano. Questo dice tutto. Ma gli uomini lo comprendono? Essi considerano ciò una figura retorica, una metafora. Non vedono affatto che deve essere preso alla lettera. E di nuovo è facile capire perché. Per prenderlo alla lettera occorrerebbe svegliarsi un po’, o per lo meno tentare di svegliarsi. Mi è stato sovente chiesto, seriamente, perché i Vangeli non parlano mai del sonno, mentre se ne parla in ogni pagina. Ciò dimostra semplicemente che la gente legge il Vangelo dormendo.

“Fintante che un uomo è in un sonno profondo, interamente sommerso dai suoi sogni, non può neppure pensare di essere addormentato. Se potesse pensare di essere addormentato, si sveglierebbe. E così vanno le cose, senza che gli uomini abbiano la minima idea di tutto quel che perdono a causa del loro sonno. Come ho già detto, l’uomo, così come è, così come la natura lo ha creato, può diventare un essere cosciente di sé. Creato a questo scopo, nasce per questo scopo. Ma egli nasce fra gente addormentata e, naturalmente, cade a sua volta in un sonno profondo, proprio nel momento in cui dovrebbe incominciare a prendere coscienza di sé. Ogni cosa vi ha parte: l’involontaria imitazione degli adulti da parte del bambino, le suggestioni volontarie o involontarie e la cosiddetta ‘educazione’. Ogni tentativo di risveglio da parte del bambino è stroncato sul nascere. È inevitabile. Quanti sforzi più tardi per svegliarsi! E di quanto aiuto si avrà bisogno allorquando migliaia di abitudini, che spingono al sonno, saranno state accumulate. “Le possibilità dell’uomo sono immense. Non potete neppure farvi un’idea di ciò che un uomo è capace di raggiungere. Ma nel sonno nulla può essere raggiunto. Nella coscienza di un uomo addormentato, le sue illusioni, i suoi ‘sogni’, si mescolano alla realtà. L’uomo vive in un mondo soggettivo al quale gli è impossibile sfuggire. Ecco perché non può mai fare uso di tutti i poteri che possiede e vive sempre soltanto in una piccola parte di sé stesso.

“È già stato detto che lo studio di sé e l’osservazione di sé, se condotti in modo corretto, portano l’uomo a rendersi conto che vi è ‘qualche cosa di sbagliato, nella sua macchina e nelle sue funzioni, nel loro stato ordinario. Egli capisce che, proprio perché è addormentato, vive e lavora solo in una piccola parte di sé. Capisce che per la stessa ragione la maggior parte delle sue possibilità restano non realizzate e la maggior parte dei suoi poteri, non utilizzati. Egli sente di non ricavare dalla vita tutto ciò che essa potrebbe dargli, e che la sua incapacità dipende da certi difetti funzionali della sua macchina, del suo apparecchio ricevente. L’idea dello studio di sé acquista ai suoi occhi un significato nuovo. Egli sente che forse non vale neppure la pena di studiarsi così com’è ora. Vede ogni funzione nel suo stato attuale, e come potrebbe o dovrebbe diventare. L’osservazione di sé induce l’uomo a riconoscere la necessità di cambiare. Praticandola, egli si rende conto che il solo fatto di osservare sé stesso produce certi cambiamenti nei suoi processi interiori. Comincia a capire che l’osservazione di sé è per lui un mezzo per cambiare, uno strumento di risveglio. Osservando sé stesso, egli proietta in qualche modo un raggio di luce sui suoi processi interiori, che fino ad allora si erano effettuati in un’oscurità pressoché totale. E, sotto l’influenza di questa luce, tali processi cominciano a cambiare. Vi sono un gran numero di processi chimici che possono aver luogo soltanto in mancanza di luce. Esattamente nello stesso modo, un gran numero di processi psichici possono aver luogo soltanto nell’oscurità. Anche un barlume di coscienza è sufficiente a cambiare completamente il carattere dei processi abituali e rendere impossibile un gran numero di essi. I nostri processi psichici (la nostra alchimia interiore) hanno molti punti in comune con questi processi chimici nei quali la luce cambia il carattere del processo, e sono soggetti a leggi analoghe.

E per cominciare l’osservazione di sé e lo studio di sé, è indispensabile imparare a dividersi. L’uomo deve rendersi conto che in realtà è composto da due uomini. Ricordatevi ciò che è stato detto prima: l’osservazione di sé conduce un uomo alla constatazione del fatto che egli non si ricorda di sé. La sua impotenza a ricordarsi di sé è uno dei tratti più caratteristici del suo essere e la vera causa di tutto il suo comportamento. Questa impotenza si manifesta in mille modi. Egli non ricorda le sue decisioni, non ricorda la parola che ha dato a sé stesso, non ricorda ciò che ha detto o provato un mese, una settimana, un giorno o soltanto un’ora addietro. Inizia un lavoro, e dopo un certo lasso di tempo dimentica perché l’ha cominciato. È soprattutto nel lavoro su di sé, che questo fenomeno si produce con una frequenza del tutto particolare. Un uomo non può ricordare una promessa fatta ad altri se non con l’aiuto di associazioni artificiali, di associazioni educate in lui, le quali, a loro volta, si associano a ogni genere di concezioni, anche queste create artificialmente, quali 1′ ‘onore’, l ‘onestà’, il ‘dovere’ e così via. Parlando in generale, si può affermare con certezza che per una cosa che l’uomo ricorda, ve ne sono sempre dieci, ben più importanti, che dimentica. “Per questo, le sue opinioni e i suoi punti di vista sono privi di qualsiasi stabilità e precisione. L’uomo non ricorda ciò che ha pensato o detto; e non ricorda come ha pensato o come ha parlato. “Ciò è, a sua volta, in rapporto con una delle caratteristiche fondamentali dell’atteggiamento dell’uomo verso sé stesso e verso gli altri, vale a dire: la sua costante ‘identificazione’ a tutto ciò che prende la sua attenzione, i suoi pensieri o i suoi desideri, e la sua immaginazione.

“L’ ‘identificazione’ è una caratteristica talmente comune, che nell’intento di osservare sé stessi, è difficile separarla da altre cose. L’uomo è sempre in stato di identificazione, ciò che cambia è solo l’oggetto della sua identificazione. “L’uomo si identifica con un piccolo problema che trova sul suo cammino e dimentica completamente i grandi scopi che si proponeva all’inizio del suo lavoro. Si identifica con un pensiero e dimentica tutti gli altri. Si identifica con una emozione, con un umore, e dimentica gli altri suoi sentimenti più profondi. Lavorando su di sé, le persone si identificano talmente con scopi isolati da perdere di vista l’insieme. I pochi alberi più vicini finiscono per rappresentare, per loro, tutta la foresta. “L’identificazione è il nostro nemico più terribile, perché penetra ovunque e ci inganna proprio nel momento in cui crediamo di lottare contro di essa. Se ci è tanto difficile liberarci dalla identificazione, è perché ci identifichiamo più facilmente con le cose a cui siamo maggiormente interessati, quelle alle quali diamo tutto il nostro tempo, il nostro lavoro e la nostra attenzione. Per liberarsi dall’identificazione, l’uomo deve stare costantemente in guardia ed essere inflessibile verso sé stesso: non deve aver paura di smascherare tutte le sue forme più sottili e nascoste. “L’identificazione è l’ostacolo principale al ricordarsi di sé. Un uomo che si identifica è incapace di ricordarsi di sé stesso. Per potersi ricordare di sé, occorre per prima cosa non identificarsi. Ma per imparare a non identificarsi, l’uomo deve innanzi tutto non identificarsi con sé stesso, non chiamare sé stesso ‘io’ sempre e in tutte le occasioni. Egli deve ricordarsi che in lui sono due, che c’è lui stesso, cioè ‘Io’ in lui, e un altro, con il quale deve lottare e che deve vincere se desidera raggiungere qualcosa. Fin quando un uomo si identifica o è suscettibile di identificarsi, è schiavo di tutto ciò che può accadergli. La libertà significa innanzi tutto: liberarsi dall’identificazione.


Carrozza, Cavallo e Cocchiere.

di G.I.GURDJIEFF

Prima Conferenza

Differenze, conformi alle leggi, nelle manifestazioni dell’individualità umana

(letta per l’ultima volta al Neighbourhood Playhouse New York, gennaio 1924)

Risulta, sia dalle indagini di molti sapienti dell’antichità, sia dalle ricerche svolte con metodi veramente eccezionali dall’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo del signor Gurdjieff, che – in conformità alle leggi superiori e alle condizioni del processo della vita umana stabilitesi sulla Terra sin dall’inizio e fissatesi poco a poco – l’individualità integrale di ogni uomo, qualunque sia l’eredità di cui è il risultato nonché le condizioni accidentali della sua comparsa e del suo sviluppo, deve, sin dall’inizio dell’età responsabile, per rispondere al senso e alla predestinazione della sua esistenza come uomo e non come semplice animale, deve, ripeto, essere necessariamente costituita di quattro personalità ben determinate e distinte.

La prima personalità indipendente non è altro che l’insieme del funzionamento automatico – tipico dell’uomo come degli animali – i cui dati sono costituiti vuoi dalla somma totale dei risultati delle impressioni ricevute sin dalla nascita e provenienti sia dalla realtà esterna sia da ciò ch’è stato intenzionalmente e artificialmente inculcato in loro, vuoi dai risultati del processo, anch’esso inerente ad ogni animale, detto “sognare a occhi aperti”, o “fantasticare”. La totalità di questo funzionamento automatico viene chiamato per ignoranza da quasi tutta la gente “conscio”, o nel migliore dei casi, “pensiero”.

La seconda personalità, che spesso funziona in modo del tutto indipendente dalla prima, è costituita dalla somma dei risultati dei dati che si depositano e si fissano nella presenza dell’uomo – come di ogni animale – attraverso i sei organi “ricettori delle vibrazioni di qualità differenti”, organi che funzionano in base alle nuove impressioni percepite e la cui sensibilità dipende dall’eredità e dalle condizioni in cui è avvenuta la formazione preparatoria a un’esistenza responsabile.

La terza parte indipendente di un essere integrale è costituita sia dal funzionamento di base del suo organismo, sia dal gioco delle manifestazioni riflesso-motorie reciprocamente interagenti al suo interno, manifestazioni la cui qualità dipende, a sua volta, dall’eredità e dalle circostanze della formazione preparatoria di ogni essere.

La quarta personalità dell’uomo, che pure dovrebbe rappresentare una parte distinta dell’individuo integrale, non è altro che la manifestazione dell’insieme dei risultati del funzionamento ormai automatizzato delle tre personalità precedenti, formatesi separatamente ed educate in modo indipendente: in altri termini, è ciò che gli esseri chiamano “io”.

Nella presenza generale dell’uomo, per la spiritualizzazione e la manifestazione di ognuna delle tre parti separatamente formate del suo tutto integrale, esistono le cosiddette “localizzazioni centri-di-gravità” indipendenti, o cervelli; ed ogni localizzazione con tutto il suo sistema possiede, per l’insieme delle sue manifestazioni, certe particolarità e predisposizioni che sono proprie a lei sola. Pertanto, affinché sia possibile il perfezionamento integrale dell’uomo, è assolutamente necessario che ognuna delle tre parti riceva l’educazione che le conviene, e non il trattamento che ai nostri giorni viene loro inflitto sotto il nome, appunto, di “educazione”. Solo allora l”io ” che deve esistere nell’uomo sarà il suo vero “Io”.

Secondo le ricerche sperimentali di cui vi ho parlato, condotte per molti anni con la massima serietà e persino secondo una riflessione sana ed imparziale, accessibile anche all’uomo contemporaneo, non soltanto la presenza generale dell’uomo – soprattutto di quello che, per qualche ragione, è convinto di non essere un uomo comune ma un “intellettuale” nel vero senso della parola – dev’essere composta da quelle quattro personalità ben definite e distinte, ma ogni personalità dev’essere sviluppata in modo appropriato affinché, durante l’esistenza responsabile, le manifestazioni di ciascuna si armonizzino con tutte le altre. Per mettere in piena luce la diversa natura e origine delle personalità che possono manifestarsi nell’organizzazione generale dell’uomo, e per sottolineare la differenza fra l’Io ” che deve esistere nella presenza generale dell’uomo-senza-virgolette, cioè di un vero uomo, e lo “pseudo-io” con cui oggi tutti lo confondono, possiamo ricorrere a un’ottima analogia che, pur proposta “in tutte le salse”, come si suol dire, dai cosiddetti spiritisti, occultisti, “teosofi” ed altri contemporanei abilissimi a “pescare nel torbido” e a parlare a vanvera di “corpo astrale”, “corpo mentale” o di altri presunti corpi dell’uomo, conserva tutto il suo valore per illustrare la questione che stiamo esaminando. Considerato come un tutto, l’uomo, con le sue diverse localizzazioni dal funzionamento distinto, ovvero con le sue varie “personalità” formate ed educate indipendentemente una dall’altra, presenta un’analogia quasi perfetta con un veicolo destinato al trasporto di un passeggero e composto da carrozza, cavallo e cocchiere.

Anzitutto bisogna notare che la differenza fra un vero uomo ed uno pseudo-uomo, cioè tra l’uomo che ha l’Io e quello che non ce l’ha, in questo paragone è resa esplicita dal passeggero seduto in carrozza. Nel primo caso, quello del vero uomo, il passeggero è il padrone, il proprietario della carrozza, mentre nel secondo è un passeggero casuale che cambia ogni momento, come il cliente di una vettura di piazza. Il corpo fisico dell’uomo, con le sue manifestazioni riflesso-motorie, corrisponde pari pari alla carrozza; l’insieme del funzionamento e delle manifestazioni del sentimento corrisponde al cavallo che è attaccato alla carrozza e la tira; il cocchiere seduto a cassetta che guida il cavallo rappresenta ciò che la gente chiama “conscio” o “pensiero”; infine, il passeggero che è seduto in carrozza e che dà ordini al cocchiere viene detto “Io”. La sfortuna degli uomini contemporanei deriva essenzialmente dal fatto che, grazie agli assurdi metodi usati ovunque per educare le giovani generazioni, la quarta personalità, che dovrebbe essere presente in ogni uomo appena raggiunta l’età responsabile, è del tutto assente, sicché tutti, o quasi, possiedono solo le prime tre parti già descritte che, per giunta, si sono formate a casaccio e da sole. In altri termini, gli uomini contemporanei d’età responsabile sono giusto l’analogo di una “vettura di piazza”: e che vettura!… La carrozza sgangherata ha ormai fatto il suo tempo… fra le stanghe c’è un vecchio ronzino… e a cassetta un vetturino rincitrullito, mezzo addormentato e mezzo ubriaco, che, perso in fantasticherie, trascorre il tempo assegnatogli da Madre Natura per il perfezionamento di sé ad aspettare un passeggero occasionale all’angolo della strada. Infatti chiunque lo paga dispone di lui come vuole, e non solo di lui ma di tutte le parti del tiro a lui sottomesse. Continuando l’analogia fra il tipico uomo contemporaneo con tanto di corpo, sentimenti e pensieri, e una vettura di piazza con carrozza, cavallo e cocchiere, è chiaro che in ogni parte costituente i due termini del confronto devono formarsi abitudini, bisogni e gusti nettamente definiti e propri a lei sola. Infatti, in base alla diversa origine, alle diverse condizioni formative e alle diverse possibilità specifiche, ognuna possiederà necessariamente un proprio psichismo e proprie nozioni, regole soggettive, punti di vista, e così via. L’insieme delle manifestazioni del pensiero umano, con tutto quanto è inerente al suo funzionamento e tutte le sue particolarità specifiche, corrisponde sotto quasi tutti gli aspetti all’essenza e alle manifestazioni di un tipico vetturino di piazza. Come tutti i vetturini in genere, costui corrisponde al tipo “Leo Patacca”. Non è completamente analfabeta, perché, data l’ “istruzione pubblica obbligatoria” in vigore nel suo paese, egli nell’infanzia ha dovuto di tanto in tanto consumare il fondo dei pantaloni sui banchi della scuola annessa alla parrocchia. Per quanto egli venga dalla campagna e sia ancora ignorante come i suoi compaesani rimasti al villaggio, tuttavia, portato dalla sua professione a bazzicare gente di un altro livello educativo e sociale, ha raccolto qua e là tutta una serie di frasi fatte contenenti le più svariate nozioni, ed ora guarda dall’alto in basso con totale disprezzo qualunque cosa sappia di campagnolo, tacciandola sdegnosamente di “oscurantismo”. Insomma, è un tipo al quali si adatta perfettamente l’adagio:”Una cornacchia non sarà mai un pavone!” Egli si considera competente persino in religione, politica o sociologia. Coi suoi pari gli piace discutere; con chi considera inferiore, discetta; coi superiori è adulatore e servile, e davanti a loro “si butta in ginocchio”. Correre dietro le fantesche o alle cuoche del quartiere è una delle suo occupazioni preferite. Ma soprattutto adora centellinarsi un paio di bicchieri dopo una buona scorpacciata, dopodiché, completamente sazio e annebbiato, si mette a sognare…

Per soddisfare questi vizietti, egli sottrae regolarmente un po’ del denaro che il padrone gli dà per foraggiare il cavallo. In nostro Meo Patacca, come ogni buon mercenario, marcia solo a suon di bastonate, e se mai fa qualcosa senza essere spronato, vuol dire che si aspetta una mancia. Poco per volta, l’avidità della mancia l’ha portato ad accorgersi di alcune debolezze nella gente che bazzica e a trarne profitto, e automaticamente ha imparato ad agire con astuzia, ad adulare, a lisciare il pelo: in una parola, a mentire. Appena ha un momento libero e una buona occasione, si infila in un caffè o un bar e ci resta per ore, vaneggiando davanti ad un bicchiere di vino e chiacchierando con qualche suo pari, o leggendo il giornale. Per darsi l’aria importante porta la barba e se è smilzo si fa imbottire la giacca per sembrare imponente.

Il cavallo, trascurato da tutti nei suoi primi anni e lasciato continuamente da solo, si è in qualche modo rinchiuso in sé stesso; in altri termini, la sua “vita interiore” è stata soffocata mentre le sue manifestazioni esterne avvengono solo per forza d’inerzia. A causa delle anormali condizioni circostanti, esso non ha mai ricevuto un’educazione speciale, anzi è cresciuto e si è formato esclusivamente sotto l’influenza di bastonate brutali e di urla continue. Legato continuamente in pastoie, per cibo non ha mai ricevuto fieno o avena ma sempre e solo paglia, che non risponde affatto ai suoi bisogni reali. Non avendo mai percepito in alcuna manifestazione dell’ambiente che lo circonda un segno anche di tenerezza o di amicizia, ora il cavallo è pronto a dare tutto sé stesso a chiunque gli faccia una piccola carezza. Le tendenze di un cavallo del genere, privo di qualsiasi aspirazione o interesse, debbono inevitabilmente concentrarsi sul mangiare, sul bere e su un’attrazione automatica per l’altro sesso; perciò si aggira sempre nei paraggi in cui può soddisfarle, e se per caso vede il luogo dove uno dei suoi bisogni è stato appagato anche una sola volta, non aspetta che il momento propizio per correrci ancora. Bisogna aggiungere che il cocchiere, per quanto limitato nella comprensione dei suoi doveri, è ancora capace di pensare in modo vagamente logico e, per timore di perdere il posto o con la speranza di una ricompensa, ogni tanto, pensando al domani, ha l’impulso di fare qualcosa per il suo padrone senza esservi letteralmente costretto. Il cavallo invece, nel quale, per l’assoluta mancanza dell’educazione speciale adatta alla sua natura, non si sono formati a tempo debito i dati necessari a manifestare le manifestazioni proprie di un’esistenza responsabile, non è in grado di capire perché dovrebbe far qualcosa, né ci si può aspettare che lo capisca. Esso infatti compie il suo dovere per inerzia e lavora solo per paura di un’altra scarica di bastonate.

Quanto alla carrozza, che nella nostra analogia corrisponde al corpo isolato dalle altre parti indipendenti della presenza generale dell’uomo, la sua situazione è ancora peggiore. La nostra carrozza, come tutte le carrozze, è fatta di vari materiali, e la sua struttura è complicatissima, perché è stata concepita – com’è evidente a chiunque abbia un po’ di giudizio – per il trasporto di qualsiasi carico e non secondo l’uso che se ne fa oggi, per il solo trasporto di clienti occasionali. Le innumerevoli disfunzioni di cui è vittima sono causate principalmente dal fatto che i costruttori, avendola destinata a percorrere strade sterrate, avevano ideato appositamente allo scopo certi particolari interni della sua struttura. La lubrificazione ad esempio – esigenza prioritaria in un veicolo costruito con materiali diversi – è concepita in modo che l’olio possa distribuirsi in tutte le parti metalliche proprio grazie alle scosse e ai sobbalzi inevitabili sulle strade sterrate. Invece ormai la carrozza, destinata a stradine di campagna, è quasi sempre ferma in città, e quando viaggia percorre solo viali asfaltati e lisci come biliardi. Senza i sobbalzi, il lubrificante non si distribuisce alle varie parti in maniera uniforme, sicché alcune finiscono per arrugginire diventando inservibili per la funzione loro assegnata. Una carrozza va bene, in linea di principio, quando le sue parti mobili sono ben oliate, mentre quando non lo sono abbastanza si scaldano e si arroventano danneggiando i pezzi vicini. Peraltro se in qualche punto il lubrificante è eccessivo, l’andatura della carrozza è squilibrata. In un caso come nell’altro, il cavallo incontra difficoltà sempre maggiori nel traino. Il cocchiere contemporaneo, il nostro Leo Patacca, non sa e non sospetta nemmeno che sia necessario lubrificare la carrozza, e anche se provvede alla bisogna lo fa senza un’idea precisa, per sentito dire, seguendo alla cieca i suggerimenti del primo venuto.

Di conseguenza la carrozza, ormai più o meno adatta alle strade lisce, quando per una ragione qualunque deve avventurarsi in strade accidentate subisce sempre qualche avaria: o salta un dado, o si piega un bullone… insomma, c’è sempre qualcosa che si sfascia; ed è raro che dopo un’avventura del genere il viaggio termini senza necessità di riparazioni più o meno ingenti. Insomma, oggi è diventato pericoloso usare la carrozza allo scopo a cui in origine era destinata. Al momento di ripararla, bisogna innanzitutto smontarla completamente, esaminare i pezzi a uno a uno e, come sempre in simili casi, metterli a bagno nella benzina per pulirli accuratamente prima di rimontare tutto. Molto spesso, del resto, si rivela urgente sostituire un pezzo importante: cosa non grave quando si tratta di un pezzo non molto costoso; ma capita a volte che la riparazione sia più cara di una vettura nuova. Orbene, è chiaro che quanto abbiamo detto sulle diverse parti il cui insieme costituisce una “vettura di piazza” si applica esattamente all’organizzazione generale della presenza dell’uomo. Mancando nei nostri contemporanei la minima conoscenza e capacità di preparare gli adolescenti in modo appropriato a un’esistenza responsabile mediante un’educazione specifica delle diverse parti che compongono la loro presenza generale, oggigiorno ogni individuo è qualcosa di assurdo e tragicomico al massimo che, per riprendere il nostro esempio, offre un quadretto di questo genere. La carrozza è proprio l’ultimo modello appena uscito di fabbrica e verniciato da autentici carrozzieri tedeschi della città di Brema. Tra le stanghe, c’è una specie di cavallo che in Transcaucasia la gente chiamerebbe “dglozidzi”: dove “dzi” vuol dire cavallo,e Dgloz è il nome di un Armeno specializzato nell’acquisto di ronzini da scuoiare. A cassetta della splendida carrozza siede un cocchiere sonnolento, mal rasato e irsuto, vestito di una marsina unta e bisunta – ricuperata nella pattumiera dove l’ha gettata come uno straccio la sguattera Petronilla – un cappello a cilindro nuovo fiammante in testa, copia esatta di quello di Rockefeller, e all’occhiello un immenso crisantemo. È inevitabile che l’uomo contemporaneo presenti un aspetto così ridicolo perché sin dal primo giorno della sua comparsa, le tre parti che si formano in lui – e che pur essendo di origine diversa e dotate di qualità distinte tuttavia, al fine di perseguire un unico scopo durante l’esistenza responsabile, devono costituire nell’insieme il suo “tutto integrale” – cominciano a “vivere” isolatamente, per così dire, e a rinchiudersi ognuna nelle proprie manifestazioni specifiche, in quanto nessuno le ha mai addestrate neppure al comportamento indispensabile e automatico di sostenersi, aiutarsi e comprendersi reciprocamente, almeno in modo approssimativo, col risultato che in seguito le previste manifestazioni d’insieme non possono prodursi. Grazie al “sistema educativo” delle nuove generazioni, già ben fissato nella vita dell’uomo – e il cui unico principio consiste nell’obbligare gli allievi a ripetere, fino a completo abbrutimento, una quantità di parole e di espressioni prive di senso, e a far loro riconoscere, solo attraverso la differenza dei suoni, la realtà che si presume essere indicata da tali parole – il cocchiere è ancora più o meno capace di spiegare a gente del suo stesso tipo il desiderio ch’egli prova, e talvolta è persino capace di comprendere vagamente i suoi simili. Chiacchierando con gli altri vetturini mentre attende i clienti o corteggiando sulla soglia della cucina le servette del vicinato, il nostro Patacca ha persino assimilato alcune forme di “galateo”. Egli, in base alle condizioni in cui si svolge di solito la vita dei vetturini, ha acquistato automaticamente la capacità di distinguere una via dall’altra, e se una strada è chiusa per lavori, è in grado di escogitare qualche altro percorso per raggiungere l’indirizzo richiesto. Ma il cavallo!… È ben vero che la funesta invenzione contemporanea detta “educazione” non è arrivata fino a lui, e così vengono preservate dall’atrofia le sue facoltà ereditarie; ma formandosi nelle anormali condizioni del processo di esistenza ordinaria degli uomini, esso cresce come un orfano, dimenticato da tutti, anzi bistrattato e senza la possibilità di acquisire alcuno strumento di comunicazione con lo psichismo specifico e le conoscenze del suo cocchiere sicché, ignorando completamente le forme di relazioni reciproche a lui consuete, in definitiva non si stabilisce tra i due alcun contatto che permetta loro di capirsi. Tuttavia può succedere che il cavallo, pur conducendo una vita rinchiusa in se stessa, riesca a scoprire qualche forma di relazione col cocchiere e persino a familiarizzarsi un po’ col suo “linguaggio”; ma purtroppo il cocchiere ignora tutto ciò, anzi lo ritiene addirittura impossibile. Oltre al fatto che queste condizioni anormali impediscono la formazione dei dati necessari a una reciproca comprensione automatica, sia pure limitata, tra il cavallo e il cocchiere, molte altre ragioni esteriori e indipendenti da loro rendono vana qualsiasi possibilità che entrambi concorrano insieme all’unico fine cui sono destinati. Infatti, come le diverse parti indipendenti di una carrozza a cavalli sono collegate tra loro – il carro al cavallo con le stanghe, il cavallo al cocchiere con le briglie – così tutte le parti distinte dell’organizzazione generale dell’uomo sono collegate tra loro: il corpo al sistema del sentimento mediante il sangue, e il sistema del sentimento a quello del pensiero mediante il cosiddetto “hanblezoin”, sostanza che si forma nella presenza generale dell’uomo a partire da tutti gli sforzi esserici compiuti intenzionalmente. Il deplorevole sistema educativo contemporaneo ha determinato l’incapacità del cocchiere di avere la benché minima influenza sul cavallo, ed è già molto se per mezzo delle briglie costui può suscitare nel conscio dell’animale queste tre idee: destra, sinistra e alt. La non sempre ci riesce, perché generalmente le briglie sono fatte di materiale sensibile ai fenomeni atmosferici: per esempio sotto una pioggia battente si ammollano e si allungano, mentre quando fa caldo accade il contrario; quindi la loro azione sulla sensibilità automatica di percezione del cavallo è incostante. La stessa cosa si produce nell’organizzazione generale dell’uomo ordinario tutte le volte che, sotto l’effetto di un’impressione qualunque, si modifica in lui ciò che potremmo chiamare “la densità e il ritmo del hanblezoin”, col risultato che il suo pensiero perde ogni possibilità di agire sul sistema del sentimento. Dunque, per riassumere quanto detto sin qui, ci tocca riconoscere, volenti o nolenti, che ogni uomo deve sforzarsi di avere il proprio “Io”, altrimenti non sarà mai che una “vettura di piazza” su cui qualsiasi passeggero può prendere posto per disporre di lui a suo talento. Non mi pare superfluo sottolineare a questo punto che l’Istituto per lo Sviluppo Armonico nell’Uomo si è dato, tra gli altri suoi obiettivi fondamentali, da un lato quello di educare nei suoi allievi, anzitutto separatamente e poi nei rapporti reciproci, secondo i bisogni della vita soggettiva futura di ognuno, le tre personalità indipendenti di cui abbiamo parlato; e dall’altro di generare e sviluppare in ogni allievo ciò che chiunque porti il nome di uomo-senza-virgolette dovrebbe avere, ossia il proprio “Io”.


Io chi sono?

di G.I.GURDJIEFF

Essentuki, 1918 circa

Affrontando vari argomenti, ho notato quanto è difficile comunicare la propria comprensione, anche quando si parla dell’argomento più comune e ci si rivolge a una persona ben conosciuta. Il nostro linguaggio è troppo povero per poter fornire delle descrizioni esatte e complete. E ho scoperto che questa mancanza di comprensione tra gli uomini è un fenomeno matematicamente regolato con la stessa precisione della tavola pitagorica. La comprensione dipende, in generale, dalla cosiddetta « psiche » degli interlocutori, e più in particolare dallo stato di questa « psiche » nel momento considerato.

L’esattezza di questa legge si può verificare a ogni passo. Per una reciproca comprensione, non è sufficiente che chi parla sappia come parlare, è anche necessario che chi ascolta sappia come ascoltare. Per questo motivo posso affermare che se parlassi nel modo che ritengo esatto, tutti coloro che sono qui, con pochissime eccezioni, penserebbero che sono pazzo. Ma dal momento che devo parlare a questo uditorio così com’è, e che i partecipanti mi devono seguire, occorre prima di tutto porre le basi per una comprensione comune.

Nel corso del nostro incontro dovremo fissare dei punti di riferimento affinché la conversazione risulti efficace. Per ora vorrei soltanto proporvi di provare a osservare le cose, i fenomeni che vi circondano, e soprattutto voi stessi, da un punto di vista diverso da quello che vi è abituale o naturale. Osservare soltanto, perché fare di più non è possibile se non con la volontà e la cooperazione dell’ascoltatore, quando esso smette di ascoltare passivamente e comincia a fare, cioè quando entra in uno stato attivo.

Molto spesso, parlando con la gente, sentiamo esprimere più o meno apertamente l’idea che l’uomo, così come l’incontriamo nella vita ordinaria, è in qualche modo il centro dell’universo, la « corona della creazione » o, per lo meno, un’entità grande e importante; che le sue possibilità sono quasi illimitate, e i suoi poteri quasi infiniti. Ma, contemporaneamente, vengono avanzate un certo numero di riserve: perché l’uomo sia così, si dice che occorrono delle condizioni eccezionali, delle circostanze speciali, l’ispirazione, la rivelazione, e così via.

Tuttavia, se studiamo questa concezione dell’uomo, ci accorgiamo subito che essa è costituita da un insieme di caratteristiche che non appartengono a un unico uomo, ma a più individui reali o immaginari. Nella vita reale non incontreremo mai un uomo del genere, né nel presente, né come personaggio storico del passato. Infatti ogni uomo ha le proprie debolezze e, se lo guardiamo da vicino, il miraggio di grandezza e di potenza svanisce.

D’altra parte, il fatto più interessante non è che gli uomini vedano gli altri attraverso questo miraggio, ma che, per una particolare caratteristica del loro psichismo, essi, come per riflesso, lo trasferiscano a se stessi e se l’attribuiscano; e se non proprio per la totalità, almeno in parte. Così, pur essendo delle nullità o quasi, essi immaginano di corrispondere a questo tipo collettivo, o di non esserne molto lontani.

Ma se un uomo sa essere sincero verso se stesso, non sincero come s’intende abitualmente, ma spietatamente sincero, allora, di fronte alla domanda: « Che cosa sei? » non conterà su una risposta rassicurante. E ora, senza aspettare che arriviate da soli all’esperienza di cui sto parlando, e perché possiate comprendere meglio ciò che intendo dire, vorrei suggerire a ciascuno di voi di porsi la domanda: « Che cosa sono? » Sono certo che il 95% di voi si troverà in imbarazzo, e che finirete per rispondervi con un’altra domanda: « Che cosa significa? »

Questa è la prova che un uomo ha vissuto tutta la vita senza porsi tale domanda, e che ritiene scontato di essere « qualcosa », addirittura qualcosa di molto prezioso che non è mai stato messo in dubbio. Nello stesso tempo egli è incapace di spiegare che cos’è questo qualcosa, incapace persino di darne una minima idea, dal momento ch’egli stesso l’ignora. E se l’ignora, non è forse perché questo « qualcosa » molto semplicemente non esiste, ma solamente si suppone che esista? Non è strano che le persone dedichino così poca attenzione a se stesse, alla conoscenza di se stesse? Non è strano che chiudano gli occhi con tanto sciocco compiacimento su ciò che sono realmente, e che passino la vita nella piacevole convinzione di rappresentare qualcosa di prezioso? Esse si dimenticano di guardare il vuoto insopportabile che si cela dietro la superba facciata creata dal loro autoinganno, e non si rendono conto che questa facciata ha un valore puramente convenzionale.

Per la verità, non è sempre così. Non tutti si guardano così superficialmente. Ci sono degli uomini che cercano, che hanno sete della verità profonda e si sforzano di trovarla, che tentano di risolvere i problemi posti dalla vita, di arrivare all’essenza delle cose, dei fenomeni, e di penetrare in se stessi. Se un uomo ragiona e pensa in modo corretto, qualunque strada segua per risolvere questi problemi, deve inevitabilmente ritornare a sé e cominciare a risolvere il problema di ciò che egli stesso rappresenta e di qual è il suo posto nel mondo che lo circonda. Infatti, senza questa conoscenza, la sua ricerca sarà priva di un centro di gravità. Le parole di Socrate: « Conosci te stesso » restano il motto di tutti coloro che cercano la vera conoscenza e l’essere. Ho appena usato una parola nuova: l’« essere ». Per garantirci che con questa parola intendiamo tutti la stessa cosa, sono necessarie delle spiegazioni.

Ci siamo appena chiesti se ciò che un uomo pensa di se stesso corrisponde a ciò che egli è in realtà, e voi vi siete interrogati su ciò che siete. Qui ci sono un medico, un ingegnere, un artista. Essi sono realmente ciò che noi pensiamo che siano? Possiamo ritenere che la personalità di ciascuno di essi sia assimilabile alla professione, all’esperienza che tramite la professione, o per la sua preparazione, essi hanno acquisito?

Ogni uomo viene al mondo simile a un foglio di carta bianca; ma le circostanze e le persone che gli stanno intorno fanno a gara per imbrattare questo foglio e per ricoprirlo di ogni genere di scritte. Ed ecco intervenire l’educazione, le lezioni di morale, il sapere che chiamiamo conoscenza, tutti i sentimenti di dovere, onore, coscienza ecc. E ogni educatore proclama il carattere immutabile e infallibile dei metodi ch’egli stesso utilizza per innestare questi rami all’albero della « personalità » umana. A poco a poco il foglio si macchia, e più è macchiato di pretese « conoscenze », più l’uomo è considerato intelligente. Più sono numerose le scritte nel posto chiamato « dovere », più il possessore è considerato onesto; e così via per ogni cosa. Il foglio così sporcato, accorgendosi che le macchie vengono scambiate per meriti, le considera preziose. Ecco un esempio di ciò che chiamiamo «uomo », cui aggiungiamo spesso delle parole come « talento » e « genio ». Eppure il nostro « genio » vedrà il suo umore guastarsi per tutto il giorno se al mattino, svegliandosi, non trova le pantofole accanto al letto.

L’uomo non è libero, tanto nelle sue manifestazioni che nella vita. Non può essere ciò che vorrebbe essere, e nemmeno ciò che crede di essere. Non somiglia all’immagine che ha di se stesso, e le parole « uomo, corona della creazione » non gli si adattano.

« Uomo »: una parola altisonante, ma dobbiamo chiederci di che tipo di uomo si tratta. Non certo l’uomo che si irrita per delle sciocchezze, che presta attenzione a delle meschinità si lascia coinvolgere da tutto ciò che gli succede intorno. Per avere il diritto di chiamarsi uomo, bisogna essere un uomo, e « essere un uomo » è possibile soltanto grazie alla conoscenza di sé, e al lavoro su di sé nella direzione indicata da tale conoscenza.

Avete mai provato a osservare ciò che vi succede quando la vostra attenzione non è concentrata su un problema preciso? Suppongo che per molti di voi questa sia una condizione abituale, sebbene ovviamente pochi l’abbiano osservata sistematicamente. Forse siete consapevoli del modo in cui il nostro pensiero procede per associazioni fortuite, quando sfilano scene e ricordi senza alcun rapporto, quando tutto ciò che cade nel campo della nostra coscienza, o semplicemente lo sfiora, ci suscita delle associazioni casuali. Il filo dei pensieri sembra svolgersi senza interruzione, tessendo insieme frammenti di immagini di precedenti percezioni, estratte da diverse registrazioni immagazzinate nella nostra memoria. E mentre queste registrazioni scorrono e si svolgono, il nostro apparato formatore tesse incessantemente la trama dei pensieri a partire da questo materiale. La registrazione delle nostre emozioni scorre nello stesso modo: piacevole e spiacevole, allegria e preoccupazione, riso e irritazione, piacere e dolore, simpatia e antipatia. Qualcuno vi loda, e voi siete contenti; qualcuno vi rimprovera, e il vostro umore si guasta. Qualche novità vi attira, e immediatamente dimenticate ciò che tanto vi interessava un attimo prima: in poco tempo questa nuova cosa assorbe il vostro interesse al punto da sommergervi completamente; e d’un tratto voi non la dominate più; siete spariti> vi trovate legati a questa cosa, dissolti in essa; in realtà, è la cosa a dominarvi, a tenervi prigionieri.

Questo smarrimento, questa propensione a lasciarsi dominare è, sotto svariate forme, propria a ciascuno di noi è questo che ci lega e ci impedisce di essere liberi. E, quel che è peggio, questo fatto assorbe tutte le nostre forze e il nostro tempo, e ci toglie ogni possibilità di essere oggettivi e liberi, due qualità essenziali per chi decide di seguire la via della conoscenza di sé. Dobbiamo lottare per liberarci, se vogliamo lottare per conoscerci. Conoscere e sviluppare se stessi costituiscono un impegno così importante e così serio, cui bisogna dedicare uno sforzo così intenso, che assumerselo nel modo solito, in mezzo a tutte le altre cose, è impossibile. L’uomo che si assume questo impegno deve metterlo al primo posto nella propria vita, perché la vita non è così lunga da poterla sprecare in cose inutili. Che cosa permetterà all’uomo di consacrare utilmente il proprio tempo alla ricerca, se non la libertà da ogni attaccamento?

Libertà e serietà. Non la serietà delle sopracciglia aggrottate, delle labbra tirate, dei gesti accuratamente calcolati, delle parole misurate fra i denti, ma la serietà che vuol dire determinazione e perseveranza nella ricerca, intensità e costanza, in modo che l’uomo, anche nei momenti di riposo, persegua il suo obiettivo principale. Chiedetevi: « Sono libero? » Molti saranno tentati di rispondere di sì, se si trovano in una condizione di relativa sicurezza materiale, senza preoccupazioni per il domani, e se non dipendono da nessuno per la propria sussistenza o per la scelta delle proprie condizioni di vita. Ma è quella la libertà? É soltanto una questione di condizioni esteriori?

Hai parecchi soldi, vivi nel lusso e godi del rispetto e della stima generale. Alla testa delle importanti aziende da te controllate si trovano uomini capaci, che ti sono profondamente devoti. In poche parole, la tua vita è un vero letto di rose. Pensi di essere totalmente libero, poiché, dopo tutto, il tuo tempo ti appartiene. Sei un patrono delle arti, dai disposizioni su problemi mondiali sorbendo una tazza di caffè, e ti interessi allo sviluppo dei Poteri spirituali nascosti. Non sei estraneo alle cose spirituali e ti senti a tuo agio di fronte alle questioni filosofiche. Sei colto e istruito. Grazie alle tue conoscenze che coprono i più svariati campi del sapere, hai la reputazione di uomo intelligente in grado di risolvere qualunque problema. Sei il modello dell’uomo raffinato. In breve, sei una persona da invidiare. Questa mattina ti sei svegliato sotto l’influsso di un brutto sogno. Questo leggero malumore è scomparso rapidamente, ma ha lasciato qualche traccia: una specie di lentezza, di esitazione nei movimenti. Vai allo specchio per spazzolarti i capelli e, inavvertitamente, lasci cadere la spazzola. Appena la raccogli, ti sfugge di nuovo. La riprendi con un po’ di impazienza, e per la terza volta ti scivola dalle mani. Cerchi di afferrarla al volo, e invece la mandi a colpire lo specchio. Inutilmente cerchi di fermarla. Crac! Una stella di frammenti compare sullo specchio antico di cui andavi così fiero. Accidenti! I nastri del disappunto cominciano a girare. Hai bisogno di scaricare l’irritazione su qualcuno. Accorgendoti che il tuo domestico si è dimenticato di posare il giornale accanto al caffè del mattino, il vaso trabocca e decidi che quel buono a nulla non può stare più a lungo in casa tua. É venuta l’ora di uscire. Dal momento che è una bella giornata e non hai da fare molta strada, decidi di andare a piedi, mentre l’automobile t’ segue al passo. Il bel sole ti fa un effetto rilassante. Un assembramento formatosi all’angolo della via attira la tua attenzione. Avvicinandoti, scorgi un uomo svenuto sul marciapiede. Con l’aiuto dei passanti, qualcuno lo adagia su un taxi che lo porta all’ospedale. Tu osservi che il viso stranamente familiare del tassista ti ricorda per associazione l’incidente che ti è capitato l’anno scorso. Stavi rientrando a casa dopo aver festeggiato allegramente un anniversario, c’erano dei pasticcini così deliziosi! Quel dannato domestico,dimenticandosi il giornale del mattino, ti ha rovinato la colazione. Non si può rimediare a questo guaio? Dopo tutto, i dolci e il caffè hanno la loro importanza! Eccoti proprio davanti al famoso caffè dove vai ogni tanto con gli amici. Ma perché ti era venuto in mente l’incidente? Hai quasi dimenticato i fastidi della mattinata… E adesso, il dolce e il caffè sono proprio così buoni?
To! Due belle ragazze al tavolo vicino. Che bionda incantevole! Ella ti lancia uno sguardo malizioso e sussurra all’amica: “Ecco il tipo di uomo che mi piace“. Certamente nessun fastidio merita più la tua attenzione, né val la pena di prendersela per delle sciocchezze. C’è bisogno di farti notare com’è cambiato il tuo umore mentre facevi conoscenza con la bella bionda, e come si è mantenuto per tutto il tempo passato in sua compagnia? Ritorni a casa canticchiando un motivetto allegro, e persino lo specchio rotto può solo strapparti un sorriso. Ma… e l’affare per cui eri uscito stamattina? Solo ora te ne sei ricordato… Niente di grave! Dopo tutto, si può sempre telefonare.

Stacchi il ricevitore e la centralinista ti passa un numero sbagliato. Chiami un’altra volta, e l’errore si ripete. Un uomo ti avverte sgarbatamente che lo stai seccando. Tu rispondi che non dipende da te; ne segue una discussione dalla quale apprendi con stupore che sei un cafone, un idiota, e che se chiami ancora… Il tappeto che ti si è arricciato tra i piedi ti esaspera, e dovresti sentire con che tono di voce sgridi il domestico che ti porta una lettera. É la lettera di una persona che tu stimi e la cui opinione ti preme molto. Il contenuto del messaggio è così lusinghiero che la tua irritazione a poco a poco svanisce, per lasciare il posto a quella deliziosa sensazione di imbarazzo che è solita suscitare l’adulazione. Al termine della lettera, sei di ottimo umore. Potrei continuare a lungo a descrivere la vostra giornata, o voi, uomini liberi! Pensate forse che esageri? No, sono dell’istantanee prese dal vivo.

Quella che vi ho raccontato era una giornata di un uomo importante e di fama internazionale, ricostruita e descritta dal medesimo quella sera stessa, come esempio vivente di pensieri e sentimenti associativi. Dov’è allora la libertà, quando le persone e le cose dominano un uomo al punto ch’egli dimentica il suo umore, i suoi affari e se stesso? Un uomo soggetto a cambiamenti del genere è in grado di avere un atteggiamento almeno un po’ serio verso la propria ricerca? Ora siete in grado di capire meglio che un uomo non è necessariamente quel che sembra, e che non sono i fatti esteriori o le situazioni che contano, ma la struttura interna dell’uomo e il suo atteggiamento in rapporto a quei fatti.

Ma forse pensate che quanto abbiamo appena detto sia vero soltanto per le associazioni passeggere. Forse la situazione è diversa rispetto alle cose che l’uomo « conosce». Ma io chiedo a tutti voi: se per qualche motivo vi fosse impossibile mettere in pratica per molti anni le vostre conoscenze, che cosa ne resterebbe? Non sarebbe come avere del materiale che col tempo evapora e diventa secco? Ricordatevi del foglio di carta bianca. É un dato di fatto che nel corso della nostra vita impariamo continuamente delle cose nuove. E chiamiamo « conoscenza » i risultati di questa accumulazione. Ma, a dispetto di tutte queste conoscenze, non siamo spesso lontani dalla vita reale, e quindi disadattati? Noi siamo sviluppati a metà, come i girini, o, più spesso ancora, semplicemente «istruiti», cioè in possesso di frammenti di informazioni su tante cose, ma tutte vaghe e inadeguate. E infatti si tratta soltanto di informazioni: non possiamo chiamarle « conoscenze ». La conoscenza è una proprietà inalienabile dell’uomo, non può essere né più grande né più piccola di lui. Infatti un uomo « conosce » soltanto quando egli stesso « è » quella conoscenza. Quanto alle vostre convinzioni, non le avete mai viste cambiare? Non sono soggette anch’esse a delle oscillazioni, come tutto ciò che è in noi? Non sarebbe più corretto chiamarle opinioni anziché convinzioni, visto che dipendono tanto dal nostro umore che dalle nostre informazioni, o anche, semplicemente, dallo stato della nostra digestione in quel momento?

Ognuno di voi non è che un banale esemplare di automa animato. Probabilmente pensate che, per fare ciò che fate e per vivere come vivete, siano necessari un’«anima» e persino uno «spirito». Ma forse basta una chiavetta per ricaricare la molla del vostro meccanismo. La vostra razione quotidiana di cibo contribuisce a ricaricare questa molla e a rinnovare continuamente l’inutile sarabanda delle vostre associazioni. Da questo sfondo emergono dei pensieri slegati, che voi cercate di connettere insieme presentandoli come preziosi e personali. E, altrettanto, coi sentimenti e le sensazioni passeggere, con gli umori e le esperienze vissute, ci creiamo il miraggio di una vita interiore. Ci vantiamo di essere coscienti, capaci di ragionamento, parliamo di Dio, dell’eternità, della vita eterna, e di argomenti elevati; parliamo di tutto ciò che si può immaginare; discutiamo, definiamo e valutiamo, ma omettiamo di parlare di parlare di noi stessi e del nostro reale valore oggettivo. Infatti siamo tutti convinti che se ci manca qualcosa, possiamo sicuramente acquisirlo. Se con tutte le cose che ho detto sono riuscito a chiarire, anche minimamente, in quale caos vive quest’essere che chiamiamo uomo, voi stessi sarete in grado di trovare una risposta alla domanda di ciò che gli manca, di ciò che può aspettarsi restando com’è, di quali valori può aggiungere al valore che ha.

Ho già detto che certi uomini hanno fame e sete di verità: se un uomo del genere si interroga sui problemi della vita ed è sincero con se stesso, si convincerà presto che non gli è più possibile vivere come ha vissuto, né essere ciò che è stato finora; che ha bisogno a ogni costo di trovate una via d’uscita da questa situazione, e che un uomo può sviluppare dei poteri e delle capacità nascoste soltanto ripulendo la propria macchina da ogni incrostazione accumulata nel corso della vita. Per cominciare razionalmente questa pulita, è necessario vedere ciò che va pulito, dove e come; ma vederlo da sé è quasi impossibile. In questo campo, per cogliere una cosa qualunque, è necessario osservare dall’esterno: ecco perché è indispensabile l’aiuto reciproco.

Se ricordate l’esempio di identificazione che vi ho fatto prima, potrete capire quanto un uomo sia cieco quando si identifica ai propri umori, sentimenti e pensieri. Ma la nostra dipendenza si limita a ciò che possiamo cogliere a prima vista, a ciò che è così evidente che non mancherà di attirare la nostra attenzione? Vi ricordate quanto abbiamo detto circa il modo in cui giudichiamo il carattere delle persone, dividendole arbitrariamente, in buone e cattive?. Man mano che un uomo comincia a conoscersi, scopre continuamente dentro di sé nuove zone di meccanicità, che chiameremo automatismo: zone in cui la sua volontà, il suo « io voglio » non ha alcun potere, e dove tutto è così confuso e sfuggente, che gli è impossibile raccapezzarsi senza essere aiutato e guidato dall’autorità di qualcuno che sa.

Riassumendo, ecco lo stato delle cose per quanto riguarda la conoscenza di sé: per fare, bisogna sapere, ma per sapere, bisogna scoprire come sapere; e questo non possiamo scoprirlo da soli. Ma c è un altro aspetto della ricerca: lo sviluppo di sé. Vediamo un po’ qui come stanno le cose. É chiaro che un uomo, abbandonato a se stesso, non può imparare dal proprio mignolo come sviluppare se stesso, né tanto meno che cosa, precisamente, deve sviluppare. Ma a poco a poco, incontrando persone che cercano, parlandone, leggendo libri sullo sviluppo di sé, viene attratto nell’orbita di questi problemi.

E cosa troverà? In primo luogo un abisso di ciarlataneria spudorata, interamente basata sull’avidità, sul desiderio di rendersi la vita facile, ingannando gli ingenui che cercano di uscire dall’impotenza spirituale. Prima di aver imparato a separare il grano dal loglio, passerà molto tempo, durante il quale il bisogno di scoprire la verità rischia di vacillare e di spegnersi, o di pervertirsi. Privo di fiuto, l’uomo può lasciarsi trascinare in un labirinto che finisce dritto dritto sulle corna del diavolo. Se riesce a tirarsi fuori da questo primo pantano ‘ egli rischia di cadere in una nuova palude, quella della pseudo-conoscenza.

In questo caso la verità gli verrà servita in una forma così vaga e indigesta da dare l’impressione di un delirio patologico. Gli verrà indicato il modo di sviluppare poteri e capacità nascoste che, a condizione di perseverare, gli consentiranno certamente, senza troppi guai, di poter dominare qualsiasi cosa, dalle creature animate alla materia inerte e agli elementi. Tutti questi sistemi, fondati sulle più diverse teorie, sono straordinariamente seducenti, ovviamente proprio per la loro vaghezza. Essi attirano particolarmente le persone « semi-istruite » che hanno un’infarinatura nel campo della conoscenza positivista.

Dal momento che la maggior parte delle questioni studiate dal punto di vista delle teorie occulte o esoteriche oltrepassa i limiti delle nozioni accessibili alla scienza moderna, tali teorie guardano quest’ultima dall’alto in basso: pur riconoscendo i meriti della scienza positiva, ne minimizzano l’importanza e lasciano capire che la scienza è un fallimento, e anche peggio.

A che scopo andare all’università e consumarsi sui testi ufficiali, se teorie di questo genere permettono di disdegnare tutte le altre conoscenze e di pronunciarsi definitivamente su tutte le questioni scientifiche?

Ma lo studio di queste teorie non riesce mai a darci una cosa essenziale: esso, ancor meno della scienza, non genera l’oggettività in materia di conoscenza. Questo studio tende a offuscare il cervello dell’uomo e a ridurre la sua capacità di ragionare e di pensare in modo giusto, col risultato di condurlo alla psicopatia. Ecco l’effetto di queste teorie sull’uomo semi istruito che le scambia per autentiche rivelazioni. D’altra parte, la loro azione non è molto diversa nei confronti di quegli scienziati che sono stati anche minimamente toccati dal veleno dell’insoddisfazione per come vanno le cose. La nostra macchina mentale ha la proprietà di poter essere convinta di qualunque cosa, purché venga sottilmente influenzata nella direzione voluta, in modo ripetuto e persistente. Una cosa che all’inizio può apparire assurda, finirà per sembrare razionale, purché la si ripeta con insistenza e convinzione sufficienti. E mentre un particolare tipo di uomo si limiterà a ripetere le frasi fatte che gli sono rimaste impresse nella mente, un altro cercherà prove e paradossi sofisticati per giustificare le proprie asserzioni. Ma entrambi sono da compiangere nello stesso modo. Tutte queste teorie fanno delle affermazioni che, come i dogmi, non possono essere verificate: in ogni caso, non coi mezzi che abbiamo a disposizione.

A questo punto, al ricercatore verranno suggeriti dei metodi di sviluppo di sé, ritenuti in grado di condurre a uno stato in cui le loro affermazioni possono essere verificate. In linea di principio, non ci sarebbe nulla da ridire. Ma, in realtà, la pratica prolungata di questi metodi rischia di condurre il ricercatore troppo zelante a risultati del tutto spiacevoli. Un uomo che aderisce alle teorie occulte e si crede dotato in questo campo, sarà incapace di resistere alla tentazione di applicare i metodi che ha studiato, cioè passerà dalla teoria alla pratica. Potrà anche agire con prudenza, evitando i metodi che, a suo parere, comportano dei rischi, e scegliendo i mezzi più sicuri e autentici. Potrà anche prenderli in esame con la massima cura. Tuttavia, la tentazione di applicarli e l’insistenza con cui gli sollecitano la necessità di farlo, magnificandogli la natura miracolosa dei risultati e tenendone accuratamente nascosti gli aspetti negativi, tutto ciò porterà quest’uomo a provarli.

Può darsi che, sperimentandoli, scopra dei metodi che sono inoffensivi. Può addirittura trarne dei benefici. Ma, molto spesso, i metodi di sviluppo di sé che vengono proposti alla verifica, sia come mezzi che come fini, sono contraddittori e incomprensibili. Dal momento che questi metodi vanno applicati a una macchina così complessa e mal conosciuta come organismo umano, e coinvolgono contemporaneamente quell’aspetto della nostra vita che gli è intimamente legato, che chiamiamo psichismo, allora il minimo errore di applicazione, la minima inavvertenza, il minimo eccesso di pressione, possono provocare alla macchina danni irreparabili. È già fortunato chi riesce a uscire indenne da questo vespaio!

Purtroppo, la maggior parte di coloro che si dedicano allo sviluppo di poteri e facoltà spirituali terminano la loro carriera in manicomio, oppure si rovinano la salute e la psiche al punto da ridursi a essere dei malati incapaci di adattarsi alla vita. Le loro fila vengono ingrossate da coloro che sono attirati verso lo pseudo occultismo dal fascino del mistero e delle cose miracolose. Ci sono poi degli individui dalla volontà estremamente debole, che sono dei falliti nella vita e che, per certe mire personali, sognano di sviluppare il potere e la capacità di sottomettere gli altri. Infine, ci sono quelli che cercano semplicemente delle novità, che cercano un modo per dimenticare le preoccupazioni o per sottrarsi alla noia della routine quotidiana, così da sfuggire a ogni conflitto.

Man mano che svaniscono le speranze di raggiungere i poteri cui mirano, costoro cadono facilmente in una ciarlataneria più o meno consapevole. Mi ricordo sempre un classico esempio di ricercatore di poteri psichici un uomo agiato, molto istruito, che aveva girato il mondo in cerca di cose miracolose. Alla fine aveva perduto tutti i suoi beni, e nello stesso tempo aveva perduto ogni illusione circa le sue ricerche. Dovendo escogitare nuovi mezzi di sopravvivenza, gli venne in mente di utilizzare la pseudo conoscenza che gli era costata tanti soldi ed energie. Detto e fatto. Scrisse un libro, con uno di quei titoli che spiccano sulle copertine dei libri di occultismo, qualcosa come “Metodo di sviluppo delle forze nascoste dell’uomo”.

L’opera si presentava sotto forma di sette conferenze, e costituiva una breve enciclopedia di metodi segreti per sviluppare il magnetismo, l’ipnotismo, la telepatia, la chiaroveggenza, i viaggi nel mondo astrale, la levitazione, e altre seducenti facoltà. Lanciato con gran pubblicità, questo metodo fu messo in vendita a un prezzo spropositato, ma alla fine veniva concesso uno sconto notevole (fino al 95%) ai clienti più recalcitranti o più parsimoniosi, a patto che ne raccomandassero la lettura agli amici. A causa dell’interesse generale suscitato da tali questioni, il successo superò tutte le aspettative dell’autore.

Ben presto egli cominciò a ricevere numerose lettere di acquirenti che, in termini entusiasti, rispettosi e deferenti, gli si rivolgevano come « Caro Maestro » e « Molto Saggio Iniziatore », esprimendo la loro più profonda riconoscenza per la pregevole esposizione di quelle istruzioni preziosissime, che avevano loro consentito di sviluppare diverse facoltà occulte in modo sorprendentemente rapido.

In breve tempo ne raccolse una bella collezione, e ogni lettera era per lui una sorpresa. Alla fine ne arrivò una con la rivelazione che, grazie al suo metodo, lo scrivente, in meno di un mese, era riuscito a levitare. Egli raggiunse allora il colmo dello stupore.

Ecco le esatte parole che disse in quell’occasione: « Sono stupefatto dell’assurdità di ciò che sta succedendo. lo stesso, che sono l’autore di questo metodo, non ho affatto le idee chiare circa la natura dei fenomeni che insegno. E questi idioti non solo sguazzano in questi discorsi senza capo né coda, ma si industriano persino di cavarne qualcosa. E adesso un super-idiota ha imparato addirittura a volare. Che assurdità… Se ne vada al diavolo! Presto gli metteranno la camicia di forza in piena levitazione, e sarà un bel sollievo. Si vive meglio senza imbecilli del genere tra i piedi ».

Signori occultisti, siete d’accordo con le conclusioni dell’autore di questo manuale di sviluppo psichico? Se si ha questa consapevolezza, allora non è escluso che si possa trovare accidentalmente qualcosa di vero in un’opera del genere, perché spesso un uomo, benché ignorante, è in grado di parlare con singolare correttezza di molte cose, senza nemmeno saperne il motivo. Ma poiché, contemporaneamente, dice un’enormità di sciocchezze, tutte le verità enunciate ne restano completamente sommerse, e risulta praticamente impossibile isolare da quel mucchio di scempiaggini la perla vera.

Voi chiederete: « Come si spiega questo mistero? » Il motivo è semplice. Come ho già detto, noi non abbiamo delle conoscenze che ci appartengano, cioè forniteci dalla vita stessa in modo tale che non ci possano essere sottratte. Tutte le nostre conoscenze non sono altro che semplici informazioni, e possono essere tanto utili quanto inutili. Assorbendole come spugne, noi possiamo facilmente restituirle parlandone con logica e convinzione, pur senza capirci nulla. E con la stessa facilità possiamo perderle, perché non sono nostre, ma sono state riversate dentro di noi come un liquido in un recipiente. Briciole di verità sono sparse dappertutto, e per coloro che sanno e comprendono, è impressionante constatare come la gente viva a contatto con la verità, e tuttavia sia cieca e incapace di penetrarla.

Per l’uomo che cerca la verità, è molto meglio non addentrarsi negli oscuri meandri della stupidità e dell’ignoranza umana, piuttosto che avventurarsi da solo. Infatti, senza le indicazioni di qualcuno che sa, egli può subire a ogni passo una modificazione impercettibile della macchina, che lo obbligherà in seguito a perdere molto più tempo a ripararla di quanto ne abbia impiegato a danneggiarla.

Che pensereste voi di un tipaccio grande e grosso che si presenta come un « essere di dolcezza angelica », aggiungendo che «nessun altro intorno a lui è in grado di giudicare il suo comportamento, dato ch’egli vive su un piano mentale cui le regole della vita psichica non si applicano»? In verità, da molto tempo tale comportamento avrebbe dovuto subire un esame psichiatrico. Questo è l’esempio di un uomo che con coscienza e perseveranza « lavora » su se stesso ogni giorno per delle ore, di un uomo, cioè, che consacra tutti i suoi sforzi ad approfondire e ad aggravare una deformazione psichica ormai così seria che, sono convinto, verrà presto rinchiuso in manicomio.

Potrei citarvi centinaia di esempi di ricerche mal dirette e spiegarvi dove vanno a finire. Potrei farvi i nomi di persone molto note nella vita pubblica, che sono state squilibrate dall’occultismo e vivono in mezzo a noi, sorprendendoci per la loro eccentricità. Potrei dirvi esattamente quale metodo li ha deviati, cioè in quale campo hanno « lavorato » e si sono « sviluppati », e come e perché questi metodi hanno colpito il loro psichismo. Ma questo argomento costituirebbe da solo il tema di una lunga conversazione e, per mancanza di tempo, non mi permetterò di dilungarmici ora.

Più un uomo si rende conto degli ostacoli e degli imbrogli che lo attendono a ogni passo in questo campo, più si convince che è impossibile seguire la via dello sviluppo di sé tramite istruzioni date a caso da persone incontrate per caso, o tramite informazioni raccolte qua e là in letture e conversazioni fortuite.

Contemporaneamente, egli comincia a intravedere, prima come un tenue barlume, poi sempre più chiaramente, la viva luce della verità che non ha mai smesso di illuminare l’umanità attraverso le epoche remote. Le origini dell’iniziazione si perdono nella notte dei tempi. Da un’epoca all’altra si delineano culture e civiltà emerse dalle profondità di culti e misteri che, perpetuamente in trasformazione, compaiono e scompaiono per poi nuovamente riapparire.

La Grande Conoscenza viene trasmessa per successione di era in era, di popolo in popolo, di razza in razza. I grandi centri iniziatici in India, Siria, Egitto, Grecia, rischiarono il mondo di vivida luce. Di generazione in generazione, vengono tramandati con reverenza i nomi venerati dei grandi iniziati, portatori viventi della verità.

La verità, fissata per mezzo di scritti simbolici e di leggende, viene trasmessa alle masse per essere conservata sotto forma di costumi e di cerimonie, di tradizioni orali, di monumenti, di arte sacra, tramite il messaggio segreto della danza, della musica, della scultura e dei vari riti. La stessa verità viene comunicata apertamente, dopo particolari prove, a coloro che la cercano, e viene conservata intatta per trasmissione orale lungo la catena di coloro che sanno.

Ma, dopo un certo tempo, i centri iniziatici si estinguono uno dopo l’altro, e l’antica conoscenza si ritira in fiumi sotterranei, sottraendosi agli occhi dei ricercatori. Anche i portatori di questa conoscenza si nascondono, e pur risultando sconosciuti a coloro che li circondano, non per questo cessano di esistere. Ogni tanto emergono in superficie delle correnti isolate, rivelando che da qualche parte, in profondità, anche ai nostri giorni scorre il possente fiume dell’antica conoscenza dell’essere.

Aprirsi un varco fino a questa corrente, trovarla, ecco l’obiettivo e lo scopo della ricerca; poiché, una volta trovata, un uomo può coraggiosamente affidarsi alla via nella quale si impegna; in seguito, non gli resta che « conoscere » per «essere» e « fare». Su questa via, un uomo non sarà mai completamente solo; nei momenti difficili, riceverà un sostegno e una direzione, perché tutti coloro che seguono questa via sono collegati in una catena ininterrotta. Forse, come unico risultato positivo di tutte le divagazioni nei meandri dell’occultismo l’uomo che cerca potrà sviluppare in sé, a condizione di conservare la capacità di pensare e giudicare correttamente, quella speciale facoltà di discriminazione che si può chiamare fiuto. Quest’uomo respingerà le strade della psicopatia e dell’errore, e cercherà instancabilmente le vie autentiche. E anche qui, come per la conoscenza di sé, il principio che ho già citato resta sovrano: « Per fare, bisogna sapere; ma per sapere, bisogna scoprire come sapere ».

L’uomo che con tutto il proprio essere, con il proprio « io » più profondo, cerca la verità di questo principio, arriva inevitabilmente alla convinzione che per « scoprire come sapere per fare », deve trovare innanzitutto colui dal quale può imparare ciò che significa realmente « fare », cioè una guida illuminata, sperimentata, che comincerà a dirigerlo spiritualmente e diventerà il suo maestro. Ed è qui che il fiuto di un uomo assume tutta la sua importanza, Egli stesso si sceglie una guida. Naturalmente, la condizione indispensabile è di scegliere un uomo che sa; altrimenti tutto il senso della sua scelta è perduto. Chi può dire dove vi può condurre una guida che non sa!

Ogni ricercatore sogna una guida che sa. La sogna, ma è raro che si domandi oggettivamente e sinceramente: « Sono degno di essere guidato? Sono pronto a seguire la via? »

Esci una sera sotto il vasto cielo stellato, alza gli occhi a quei milioni di mondi sopra la tua testa. Forse su ognuno di essi formicolano miliardi di esseri simili a te, persino superiori a, te per costituzione. Guarda la Via Lattea. In quell’infinità, la Terra non può nemmeno essere considerata un granello di sabbia. La Terra vi si dissolve, sparisce, e con essa sparisci anche tu. Dove sei? Chi sei? Cosa vuoi? Dove vuoi andate? L’impresa cui ti stai accingendo non potrebbe essere pura follia? Di fronte a tutti quei mondi, interrogati sui tuoi scopi e le tue speranze, sulle tue intenzioni e i mezzi per realizzarle, su ciò che si può esigere da te, e domandati fino a che punto sei preparato a rispondere. Ti attende un viaggio lungo e difficile; ti stai dirigendo verso un paese strano e sconosciuto. La strada è infinitamente lunga. Non sai se ti potrai riposare, né dove ciò sarà possibile. Devi prevedere il peggio. Devi prendere con te tutto ciò che è necessario per il viaggio. Cerca di non dimenticare nulla, perché poi sarà troppo tardi per rimediare all’errore: non avrai tempo di ritornare a cercare ciò che hai dimenticato. Valuta le tue forze. Sono sufficienti per tutto il viaggio? Quando sarai in grado di partire?

Ricordati che più tempo passerai per strada, più avrai bisogno di portarti delle provviste, cosa che ritarderà ulteriormente la tua marcia, e allungherà pure la durata dei preparativi. E ogni minuto è prezioso. Una volta che ti sei deciso a partire, perché perdere tempo? Non contare sulla possibilità di tornare. Questa esperienza potrebbe costarti carissima. La guida si è impegnata soltanto a condurti alla meta, non è obbligata a riaccompagnarti indietro. Sarai abbandonato a te stesso, e guai a te se ti infiacchisci o perdi la strada, potresti non ritornare mai più. E anche se la trovi, resta il problema: tornerai sano e salvo?

Ogni sorta di disavventure attendono il viaggiatore solitario che non conosce bene la via, né le regole di condotta che essa comporta. Tieni a mente che la tua vista ha la proprietà di presentarti gli oggetti lontani come se fossero vicini. Ingannato dalla prossimità della meta verso cui tendi, abbagliato dalla sua bellezza e non avendo misurato le tue forze, non noterai gli ostacoli sulla via; non vedrai i numerosi fossati che tagliano il sentiero. In mezzo a prati verdi cosparsi di splendidi fiori, l’erba alta nasconde un profondo precipizio. É molto facile inciampare e cadervi dentro, se gli occhi non sono attenti a ogni passo che stai per fare.

Non dimenticarti di concentrare tutta la tua attenzione su ciò che ti sta immediatamente intorno. Non occuparti di mete lontane, se non vuoi cadere nel precipizio. Però non dimenticare il tuo scopo. Ricordatene continuamente e mantieni vivo il desiderio di raggiungerlo, per non perdere la direzione giusta. E una volta partito, stai attento; ciò che hai oltrepassato, resta indietro e non si ripresenterà più: ciò che non osservi sul momento, non lo osserverai mai più. Non essere troppo curioso, e non perdere tempo con ciò che attira la tua attenzione ma non ne vale la pena. Il tempo è prezioso, e non deve essere sprecato per cose che non sono direttamente in relazione con la tua meta. Ricordati dove sei e perché sei lì. Non aver troppa cura di te, e rammenta che nessuno sforzo viene mai fatto invano. E adesso puoi metterti in cammino.


Rendere attiva l’essenza

di Josè Reyes 

6 ottobre 2010

3ème Millénaire n.87 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini

3m. Se osservo il mio comportamento durante le attività della giornata, costato a che punto sono reattivo, in reazione. In più queste reazioni sono molto spesso negative: paura, collera o irritazione, resistenza a ciò che mi è chiesto, inerzia, tensioni fisiche! Sono totalmente identificato in quegli stati…E’ questa la realtà?

J.R. Si, è la realtà. Generalmente guardiamo il mondo e gli eventi secondo il colore delle nostre lenti. Possiamo perciò veramente dire che è la realtà, ma bisogna precisare che si tratta di una realtà soggettiva. Per vedere che cosa è reale, non dobbiamo essere identificati. Infatti l’identificazione impedisce il contatto con la realtà e diventiamo la nostra propria realtà soggettiva. In altre parole, le mie emozioni negative per me sono vere, finché sono identificato con loro.

La prima cosa da vedere prima di essere capaci di distinguere la realtà, è quella di trovarci in uno stato di separazione a partire dal quale si può spingere il nostro centro di gravità verso l’osservatore, che è un processo sociologico che non è centrato né nei pensieri, né nei sentimenti, né nelle sensazioni. E’ il significato del lavoro su di sé, per il quale cominciate a discriminare due stati di comportamento. Il primo è quello in cui siete completamente assorbiti da un pensiero, un sentimento o una sensazione (e diventate uno con quel pensiero, quel sentimento, quella sensazione); nel secondo, potete vedere nello stesso tempo lo stato in cui siete e voi stessi.

3m. Essere a un livello d’osservazione attraverso cui possiamo vedere noi stessi e al tempo stesso il nostro comportamento è insolito nella vita ordinaria. Come posso sperimentare questo stato d’essere specifico nella mia vita quotidiana? C’è una strada da seguire?

J.R. Si, dovete diventare un uomo n.4. Finché siete un uomo 1, 2 o 3*, la vostra osservazione di voi stessi sarà sempre colorata dalla percezione del centro dove si trova stabilito il vostro centro di gravità. Il modo in cui vediamo il nostro comportamento è dunque sia attraverso il centro intellettuale sia attraverso le emozioni. Gurdjieff diceva che la percezione con un solo centro è follia, con due centri è allucinazione.

Secondo il nostro Insegnamento (la Quarta Via) l’uomo n. 4 è quello che, grazie al lavoro su di sé ha raggiunto uno stato d’equilibrio dei 3 centri. Questo significa che le sue funzioni sono ora coordinate armoniosamente per potere nutrire l’essenza. Così diventa maturo rispetto alle sue emozioni.

Per chiarire ciò che si sta dicendo, si può fare un’analogia con una casa: lasciata nel caos più totale il cui padrone è assente e dove ogni domestico si chiama Io. Questa casa ha tre livelli. I servitori più intelligenti decidono di eleggere uno di loro al quale tutti devono ubbidire. Questo servitore si chiama anche lui Io, ma non è ancora il vero Io. Comincia a imparare l’Insegnamento, il Lavoro, il funzionamento della casa e realizza che non è che è un amministratore temporaneo, ma non il vero amministratore. Solo quest’ultimo può dirigere la casa e preparare il posto per la venuta del vero Io.

La seconda tappa è quella che chiamiamo l’osservazione di sé, che è l’inizio della comprensione di sé. Questo osservatore è il vero amministratore ed è con l’osservazione che pratica che può cominciare a rafforzare la capacità di separazione tra i me ordinari che abitano ciascuno dei centri. Così prepara la casa all’arrivo dell’Io reale.

3m. Questo insegnamento ricorda la nozione della falsa e vera personalità. Qual è la differenza tra le due personalità? Per andare più lontano, per diventare un uomo n. 4 occorre la scomparsa della falsa personalità? Come la falsa e la vera personalità si legano alla molteplicità dei me, all’amministratore provvisorio e al vero Io?

J.R. C’è una grande differenza tra falsa e vera personalità. La falsa personalità ha una relazione molto ampia con l’ego della persona. Noi agiamo in modo che la gente non dica male di noi, oppure ci comportiamo in modo tale che non pensino che bene di noi.

La personalità pretende e cerca in permanenza d’essere quello che non è. Questo è chiamato la nullità, perché si tratta di un’immagine di noi stessi che abbiamo costruito, basata interamente sull’immaginazione. Con la falsa personalità vogliamo sempre che la gente ci dia valore per qualcosa che non siamo. Mentiamo su noi stessi agli altri e crediamo alle nostre menzogne.

La falsa personalità è molto difficile da distruggere, perché la maggior parte delle abitudini contratte dai centri è stata creata dalle loro scappatoie e vi corrispondono.

La personalità, riguardo a lei, non è totalmente negativa, non esiste solo a nostro svantaggio; al contrario, è necessaria, ma al posto giusto. La personalità è il nostro sapere, la nostra esperienza, l’addestramento che abbiamo ricevuto, il modo in cui ci prendiamo in carico, e quella in cui rispondiamo alle esigenze della vita. Il problema è che questa personalità agisce nella vita senza partecipazione della nostra essenza. Per ogni attività della giornata lei prende l’iniziativa. La sede della personalità è situata nell’apparecchio formatore*, e questo ha per conseguenza che essa utilizza parole o argomenti in risposta alle situazioni nelle quale ci pone la vita.

La Quarta Via ci procura dei mezzi che possiamo utilizzare per ribaltare la situazione, in altre parole permettere all’essenza di diventare attiva e di rendere passiva la personalità. Questo affinché l’essenza possa usare la personalità secondo le necessità del momento, secondo quanto è richiesto in una data situazione. E’ la tappa dell’uomo n.4 nel quale i centri sono equilibrati. Ciò significa che l’iniziativa nella sua totalità è presa dal vero Io. A questo livello l’ego non detta più il suo comportamento alla persona. L’ego scompare giacché la persona non vive più in apparenza e la nullità non ha più bisogno di pretendere d’essere, poiché la persona “è”.

I diversi me vengono dai centri. Ci sono me intellettuali, emozionali e psichici. Questi me nella loro molteplicità sono chiamati i servitori della casa. L’amministratore transitorio è uno di quei me, generalmente situato  al livello del centro intellettuale ed è lui che impara il Lavoro e cerca di applicarlo. Ma manca di forza ed è particolarmente debole quando due o tre altri me arrivano insieme e non si assoggettano a tutto quello che il Lavoro può dire di fare.

D’altra parte, il vero amministratore non è più uno dei me. Egli è prodotto dall’osservazione di sé e deriva dallo sguardo  sulla realtà della nostra imparzialità. Non è fatto dello stesso materiale dei me inferiori che non dispongono di un reale controllo sui centri. L’amministratore invece ha un controllo totale sul funzionamento di ciascuno dei centri, per l’energia prodotta dal ricordo di sé. Per questo è detto che prepara la casa per l’arrivo del vero Io, il suo vero proprietario.

3m. Il processo che descrivete conduce all’idea di una scala nei livelli di realtà, cioè dove ciascuno sperimenta la realtà secondo il suo livello. Questi livelli si riferiscono a energie di sottigliezza variabile, come per esempio quella derivata dal ricordo di sé?

J.R. Si, la realtà è percepita in funzione del livello di energia che siamo capaci di produrre, di nutrire e di mantenere.

Se applichiamo questo alla nostra vita quotidiana, possiamo facilmente costatare che il nostro umore dipende molto dall’energia di cui disponiamo secondo i momenti. Quando siamo contenti, tutto appare come su un letto di rose, ma quando siamo di cattivo umore, non abbiamo che le spine.

Ogni energia ci dà una capacità più o meno grande di percepire la realtà, che può essere altamente soggettiva per quelli il cui livello di energia è così basso che non vedono altro che il proprio stato.

E’ il caso dell’uomo macchina che vede le cose unicamente con l’energia automatica. Il livello seguente è quello della libera sensibilità, in cui diventate sensibili alle impressioni e coscienti di voi mentre le ricevete. Così non siete solo nell’atto di ascoltare, ma udite, non state solo guardando, ma vedete, non state solo mangiando, ma avete anche il gusto di ciò che mangiate. Non toccate solamente, ma  sentite ciò che toccate. Perché disponete di un’energia nuova, più organizzata dell’energia automatica, quella unicamente basata sulle reazioni, l’essere attirati o il rigetto, il fatto di amare o non amare questo o quello. Al livello della sensibilità, cominciate a essere il padrone delle vostre impressioni. Il livello energetico seguente è quello dell’energia cosciente, in altre parole è il processo cosciente al quale partecipate e per il quale cominciate a dare senso e significato alla vostra vita L’energia cosciente è molto speciale. Contrariamente a quelli che dicono “sono cosciente”, è più appropriato dire che partecipo alla coscienza.

Note.

“ Gli uomini n.1, 2, 3 costituiscono l’umanità meccanica, sono al livello di quando sono nati. L’uomo n.1 ha il centro di gravità della sua vita psichica nel centro motore… L’uomo n.2 nel centro emozionale… L’uomo n.3 nel centro intellettuale… L’uomo n.4 ha un centro di gravità permanente, in lui un centro non può avere sugli altri una preponderanza.”( P. D. Ouspensky. Frammenti di un Insegnamento sconosciuto).

Apparecchio formatore. “La parte meccanica del centro intellettuale porta un nome speciale. Se ne parla a volte come di un centro separato e in quel caso è chiamato apparecchio formatore. Una delle particolarità è che non può paragonare che due cose, non può pensare che in termini di estremi e cerca subito il contrario”( Ouspensky).


Riparare il passato.

di G.I.Gurdjieff

(ESTRATTO)

Tu sai che “Giustizia” è una grande parola, è una cosa grande nel mondo. Le cose oggettive non sono cose piccole come i microbi, esse procedono in accordo con la legge, come la legge le ha abituate a procedere. Ricorda, come semini, così raccoglierai. Non solo le persone raccolgono, ma anche le famiglie e le nazioni. Succede spesso questo, che ciò che accade sulla terra proviene da qualcosa che è stato fatto da un padre o da un nonno. I risultati convergono su di te, il figlio o il nipote, colui che deve regolarle, allora, sei tu. Questa non è un’ingiustizia, è un vero grande onore per te, sarà un’occasione che ti consentirà di regolare il passato di tuo padre, nonno o bis-nonno. Se nella tua giovinezza ti accadono disgrazie, significa che qualcuno l’ha portate – e per questo tu devi raccogliere. Lui è morto, è qualcun altro sulla terra le raccoglie. Non devi guardare a te stesso egoisticamente. Sei una maglia nella catena del tuo sangue. Sii orgoglioso di questo, è un onore essere questa maglia. Più sarai obbligato a riparare il passato, più avrai rimorsi di coscienza. Riuscirai a ricordare tutto quello che nel passato non hai fatto come dovevi. Queste cose che hai fatto contrarie alla giustizia, hanno mortificato i tuoi antenati. Per tanto puoi avere dieci volte più rimorsi di coscienza e il tuo lavoro aumenterà in proporzione. Non sei la coda di un asino, hai delle responsabilità, una famiglia. Tutta la tua famiglia, passata e futura, dipende da te, l’intera tua famiglia dipende dal modo in cui tu ripari il passato, se lo ripari per tutti è bene, se non lo ripari per tutti è male. Tu vedi la tua situazione, logicamente, vedi cos’è la giustizia? La giustizia non si occupa dei tuoi piccoli affari, delle tue irridenti suppliche, è occupata da cose grandi. E’ da idioti credere che Dio pensi a cose piccole. E’ lo stesso per la giustizia. La giustizia non tocca tutto ciò, e allo stesso tempo niente è fatto sulla terra senza di essa. Cerca le ragioni per cui sei obbligato ad avere una posizione di responsabilità nella linea del tuo sangue. Devi lavorare di più per riparare il passato. E’ difficile da capire tutto in una volta sola.


Lo studio della psicologia. L’uomo, la macchina.

di G.I.GURDJIEFF

 Londra 1922 – Chicago 1924

 (ESTRATTO)

Tu vuoi studiare la psicologia, ma non hai psiche, come puoi studiare allora qualcosa che ancora non esiste? Vorresti conoscere te stesso come uomo, ma non sei ancora un uomo, solo una macchina. Dovresti allora cominciare a studiare te stesso come una macchina. La psicologia è solo lo studio delle idee delle altre persone; è molto meglio studiare te stesso che studiare le fantasie degli altri.

Tu vuoi che ti dica molte cose, e anche io voglio condividere con te ciò che so dell’uomo e delle sue maniere. Ma non potresti capire ciò che vuoi sapere anche se te lo dicessi. Non abbiamo il linguaggio. Il nostro linguaggio ordinario è fatto solo per cose semplici. Non abbiamo parole disponibili per le cose “più alte”. Le parole sono necessarie perché senza di esse non possiamo ancora capirci l’un l’altro. Quando avrai imparato a studiare la tua propria macchina, potremo capirci meglio tra noi.

Quando studi te stesso devi essere capace di concentrare la tua attenzione su quella parte che vuoi osservare. Al momento non puoi concentrare la tua attenzione perché il tuo centro emozionale non farà silenzio. Così la tua attenzione è governata dalle tue emozioni e non da te. Finché non smetterai di essere governato dalle tue emozioni, non puoi essere imparziale. Dunque non puoi capire il significato delle parole. Chiunque, comprende le parole in accordo con l’umore nel quale gli capita di essere. Se sono affamato, la parola “desiderio” significa cibo per me; ma se sono soddisfatto significa “dormire” o forse “sesso”. In ogni momento il significato delle parole cambia, e le persone neppure lo notano.

Abbiamo bisogno di parlare di cose molto importanti. Per esempio dobbiamo parlare del perché l’uomo esiste. Questo appartiene alla vera conoscenza, e per parlare di questo dovremmo capire le cose in modo differente. Per conoscere qualcosa di vero dobbiamo conoscere tutto. C’è un antico detto: “Conoscere significa conoscere tutto, non conoscere tutto significa non conoscere. Conoscere tutto non è impossibile. E’ necessario per questo conoscere anche molto poco. Ma per conoscere questo poco bisogna conoscere abbastanza.”

In questo caso il poco che dobbiamo sapere è che l’uomo non vive per se stesso, egli esiste per trasmettere vibrazioni necessarie alla luna. L’uomo è parte della vita della terra. La terra è circondata da una pellicola organica, tenuta in equilibrio da pianeti, terra e luna. La vita organica è così forte che nessuno può cambiare la sua situazione da solo. Supponiamo che Dio voglia aiutarci; Egli non può. La Terra è troppo piccola per essere toccata dalla volontà di Dio e se la terra è troppo piccola quanto lo sarà di più l’uomo? Da dove possiamo prendere allora l’aiuto di cui abbiamo bisogno?

Potete essere aiutati quando cominciate a conoscere voi stessi. Fintanto che non conoscete la vostra macchina, anche se l’aiuto vi è offerto non potete farne uso. Dovete cominciare dal capire lo scopo delle vostre funzioni. I vostri centri sono ricettori per diverse velocità di vibrazioni. I centri non sono influenzati allo stesso modo da tutte le vibrazioni. Ogni centro è un apparato ricevente e trasmittente. Ciascuno riceve le vibrazioni corrispondenti alle sue stesse funzioni. Al momento potete solo ricevere meccanicamente, senza discriminazioni. Non sapete ciò che state ricevendo, e dunque potete solo trasmettere meccanicamente. E questo non dà nulla a voi stessi.

Supponete di voler trasmettere qualcosa consapevolmente; voi non potete perché la vostra mente non farà silenzio. Per far smettere alla vostra mente di chiedere, adesso dovete usare la forza, ma non avete una forza sufficiente. Dunque non potete fare quello che desiderate. In seguito potete apprendere sistemi meccanici per far fermare le domande della mente, e dopo forse potete usare la vostra propria forza per fare ciò che avete bisogno di fare.

Tutta la vostra energia che non è necessaria a restare in vita, è presa dall’immaginazione e altre attività inutili. Osservare la vostra immaginazione –e cioè tutte le conversazioni interiori che entrano nella vostra mente senza la vostra stessa intenzione- aiuterà. Poiché quando osservate trascinate via un po’ di energia dall’immaginazione alla forza dalla quale proviene l’osservazione di sé. In questo modo questa forza può crescere e un bel giorno scoprirete di avere un essere indipendente dentro di voi, che sarà capace di fare ciò a cui aspira.

Per il momento dovete capire che non potete osservare tutto ciò che volete. La vostra osservazione è limitata dalle associazioni già presenti in voi. In un bambino appena nato ciascuno dei centri è libero di rispondere a tutte le impressioni che entrano. È come un sistema di rulli di un grammofono, in bianco, dal giorno dell’apparizione del bambino nel mondo di Dio, i significati esterni degli oggetti e le sue proprie esperienze interiori sono registrate su questi rulli in accordo con la corrispondenza tra le impressioni e la materia di cui i diversi centri sono fatti. Questa “materia” che è in realtà un tipo di energia, ha la possibilità di assorbire le corrispondenti vibrazioni e di rifiutarne altre.

In questo modo, taluni posti in ognuno dei tre cervelli dell’uomo, sono riempiti da famiglie di impressioni, raggruppati insieme per la loro similarità, o per la casualità di essere stati ricevuti insieme. Poco a poco queste diventano le abituali caratteristiche che costituiscono la personalità. Queste caratteristiche appartengono a tutti i centri, ma quelle nel corpo sono più stabili. E’ per questo che potete studiare meglio un uomo dalle sue posture e gesti che da quello che dice.

Vi farò un esempio. Ogni uomo o donna ha i suoi propri gesti e posture del corpo ma questi sono connessi alle abitudini mentali ed emozionali e a caratteristiche che non possiamo vedere. Per ciò per capire questo dobbiamo considerare qualcosa che molte persone fanno. Osservate come le persone ballano. Ogni nazionalità ha il suo proprio modo di ballare, potete sempre riconoscere la nazionalità dal modo in cui un uomo balla. In oriente, dove le tradizioni sono molto più forti, potete persino riconoscere, dal modo in cui ballano, da quale tribù o villaggio le persone provengono. In questo modo le danze diventano una specie di linguaggio attraverso il quale le persone, inconsciamente, di certo, ci parlano di loro.

E’ lo stesso con ogni cosa. Ogni nazione ha un repertorio limitato di movimenti che proviene dalle impressioni dell’infanzia. Per questo c’è anche un repertorio limitato di pensieri. Persino i sentimenti assumono le proprie caratteristiche abituali, che fissano per l’intera parte restante della vita i modi nei quali una persona può provare sentimenti. Dopo l’infanzia molto poco può essere cambiato. A meno che non siano prese delle speciali misure, delle quali parleremo più tardi, la capacità di recepire nuove impressioni si indebolisce con l’età. I bambini ricevono nuove impressioni, ma le persone più vecchie non possono; dunque in tarda età tutto ciò di cui si può fare esperienza è il risveglio e la ricombinazione di queste vecchie impressioni dell’infanzia. Delle vere nuove impressioni possono essere ottenute solo con violenza perché i rulli nei centri sono già riempiti. E’ difficile penetrare fino ad essi perché la nostra forza è limitata. Tuttavia, rimane sempre in un uomo un posto dove le impressioni possono essere ricevute, a condizione che queste siano ricevute con un’intensità sufficiente. Questo posto rimane vuoto fino a che non inizia la vita adulta; se esso non ha ricevuto impressioni prima di allora, è molto difficile raggiungerlo. Per molti di voi che sono qui ora, questo posto è già quasi impossibile da raggiungere. Sarà necessario un grande sforzo se state per iniziare una nuova vita.