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Differenza tra stato di sonno e stato di veglia

di J.G.BENNETT

 Denison House, 16 Luglio 1951

 (Estratto)

Quando ti svegli sarai consapevole del fatto che tu esisti. Se osservi te stesso, vedrai come raramente è presente in te qualcosa che corrisponde all’esperienza: “Io esisto, io sono presente qui e ora”. Potresti avere questa esperienza, ma in un primo momento sarà solo nella tua testa. Questo non è realmente essere svegli, si sta pensando di essere svegli. Tuttavia, è un inizio. Capire la differenza tra stato di sonno e stato di veglia, è una delle basi su cui si fonda tutto il lavoro su noi stessi. Questa comprensione non può avvenire in una volta. Se si desidera raggiungerla, è necessario lottare per conservare l’esperienza interiore “io esisto – qui – ora!

 In un primo momento, questo è molto difficile. Per quanto si possa desiderare di ricordare, si dimenticherà quasi immediatamente. Il passo successivo è quello di capire perché non ti ricordi un fatto così semplice eppure così importante come la tua esistenza. Una ragione è che vivi sempre nelle tue associazioni. Questo è veramente uno stato di sogno. Nei sogni perdiamo il contatto con la nostra stessa esistenza. Se porti alla tua mente che stai cercando di essere sveglio, dovrai lottare ancora ed ancora per mantenerti nello stato in cui l’esperienza è presente: “Io esisto”. Se fai questo, vedrai che inizierai a ricordare più spesso, anche se probabilmente non sarai in grado di mantenerlo affatto meglio di prima. Potresti chiederti: “ Da dove proviene questo impulso che mi fa ricordare ? Di solito non ha nulla a che fare con le associazioni che sono in corso nella mia testa.” Da osservazioni di questo tipo, inizi a capire che sei solo consapevole, nella migliore delle ipotesi, di una piccola parte di te stesso. Inizierai a comprendere che cosa intende il nostro Insegnamento quando ci dice che non abbiamo uno, ma diversi cervelli. Vedrai che a volte i tuoi sentimenti, e talvolta anche la tua parte istintiva si svegliano, ma in modo assai diverso e piuttosto separato dal cervello della testa. Anch’essi possono avere l’esperienza che “io esisto”, ma ce l’hanno in un modo che e’ loro proprio. Quando sento che io esisto, non è nella mia testa, ma nel mio petto che ne ho esperienza. Quando il mio cervello istintivo comincia a svegliarsi, è attraverso le sensazioni, e sono consapevole della mia esistenza nella sensazione del mio corpo. In seguito, vedrai che per essere sveglio, nel vero senso della parola, tutti e tre i cervelli devono svegliarsi, e poi scoprirai anche come puoi rimanere sveglio. Ti renderai conto che un cervello non può mai rimanere sveglio da solo.

Nel frattempo, devi provare molto duramente a capire cosa si intende nel dire che viviamo tutto il tempo nei sogni. Tu quasi mai hai una percezione diretta di una qualsiasi cosa. Mi hai sentito dire che a malapena hai mai visto nulla, sentito nulla, toccato qualcosa. Puoi mangiare un pasto e non avere la percezione diretta di ciò che stai mangiando o che cosa significa mangiare. Puoi camminare attraverso i campi e guardare le colline e il cielo, e non avere la percezione diretta di ciò che stai vedendo. Come ti dico questo, puoi rivoltarti interiormente e dire a te stesso: “No, non è vero. Quando sono in campagna, gioisco della natura, provo tutta la sua bellezza e freschezza. “Tutto questo è opera vuota. Nulla di tutto ciò succede veramente. Sogni sulla Natura e su come è meravigliosa, ma non vedi o fai esperienza di nulla. Perché posso dire questo? Perché è il modo in cui le cose avvengono nel sonno, e so che tu sei addormentato, sia che ti siedi qui e mi ascolti, sia che vai a fare una passeggiata in campagna. Di questo non ti rendi conto. Devi osservarlo e realizzarlo in prima persona. Tutto quello che ti succede è un sogno. Perché? Perché non c’è niente in te che è in grado di non sognare. Non c’è niente in te che è in grado di essere sveglio. Questo è ciò che devi comprendere e realizzare per te stesso. Quando lo fai, tutto comincerà a cambiare, e anche il tuo futuro potrebbe essere diverso.


Carrozza, Cavallo e Cocchiere.

di G.I.GURDJIEFF

Prima Conferenza

Differenze, conformi alle leggi, nelle manifestazioni dell’individualità umana

(letta per l’ultima volta al Neighbourhood Playhouse New York, gennaio 1924)

Risulta, sia dalle indagini di molti sapienti dell’antichità, sia dalle ricerche svolte con metodi veramente eccezionali dall’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo del signor Gurdjieff, che – in conformità alle leggi superiori e alle condizioni del processo della vita umana stabilitesi sulla Terra sin dall’inizio e fissatesi poco a poco – l’individualità integrale di ogni uomo, qualunque sia l’eredità di cui è il risultato nonché le condizioni accidentali della sua comparsa e del suo sviluppo, deve, sin dall’inizio dell’età responsabile, per rispondere al senso e alla predestinazione della sua esistenza come uomo e non come semplice animale, deve, ripeto, essere necessariamente costituita di quattro personalità ben determinate e distinte.

La prima personalità indipendente non è altro che l’insieme del funzionamento automatico – tipico dell’uomo come degli animali – i cui dati sono costituiti vuoi dalla somma totale dei risultati delle impressioni ricevute sin dalla nascita e provenienti sia dalla realtà esterna sia da ciò ch’è stato intenzionalmente e artificialmente inculcato in loro, vuoi dai risultati del processo, anch’esso inerente ad ogni animale, detto “sognare a occhi aperti”, o “fantasticare”. La totalità di questo funzionamento automatico viene chiamato per ignoranza da quasi tutta la gente “conscio”, o nel migliore dei casi, “pensiero”.

La seconda personalità, che spesso funziona in modo del tutto indipendente dalla prima, è costituita dalla somma dei risultati dei dati che si depositano e si fissano nella presenza dell’uomo – come di ogni animale – attraverso i sei organi “ricettori delle vibrazioni di qualità differenti”, organi che funzionano in base alle nuove impressioni percepite e la cui sensibilità dipende dall’eredità e dalle condizioni in cui è avvenuta la formazione preparatoria a un’esistenza responsabile.

La terza parte indipendente di un essere integrale è costituita sia dal funzionamento di base del suo organismo, sia dal gioco delle manifestazioni riflesso-motorie reciprocamente interagenti al suo interno, manifestazioni la cui qualità dipende, a sua volta, dall’eredità e dalle circostanze della formazione preparatoria di ogni essere.

La quarta personalità dell’uomo, che pure dovrebbe rappresentare una parte distinta dell’individuo integrale, non è altro che la manifestazione dell’insieme dei risultati del funzionamento ormai automatizzato delle tre personalità precedenti, formatesi separatamente ed educate in modo indipendente: in altri termini, è ciò che gli esseri chiamano “io”.

Nella presenza generale dell’uomo, per la spiritualizzazione e la manifestazione di ognuna delle tre parti separatamente formate del suo tutto integrale, esistono le cosiddette “localizzazioni centri-di-gravità” indipendenti, o cervelli; ed ogni localizzazione con tutto il suo sistema possiede, per l’insieme delle sue manifestazioni, certe particolarità e predisposizioni che sono proprie a lei sola. Pertanto, affinché sia possibile il perfezionamento integrale dell’uomo, è assolutamente necessario che ognuna delle tre parti riceva l’educazione che le conviene, e non il trattamento che ai nostri giorni viene loro inflitto sotto il nome, appunto, di “educazione”. Solo allora l”io ” che deve esistere nell’uomo sarà il suo vero “Io”.

Secondo le ricerche sperimentali di cui vi ho parlato, condotte per molti anni con la massima serietà e persino secondo una riflessione sana ed imparziale, accessibile anche all’uomo contemporaneo, non soltanto la presenza generale dell’uomo – soprattutto di quello che, per qualche ragione, è convinto di non essere un uomo comune ma un “intellettuale” nel vero senso della parola – dev’essere composta da quelle quattro personalità ben definite e distinte, ma ogni personalità dev’essere sviluppata in modo appropriato affinché, durante l’esistenza responsabile, le manifestazioni di ciascuna si armonizzino con tutte le altre. Per mettere in piena luce la diversa natura e origine delle personalità che possono manifestarsi nell’organizzazione generale dell’uomo, e per sottolineare la differenza fra l’Io ” che deve esistere nella presenza generale dell’uomo-senza-virgolette, cioè di un vero uomo, e lo “pseudo-io” con cui oggi tutti lo confondono, possiamo ricorrere a un’ottima analogia che, pur proposta “in tutte le salse”, come si suol dire, dai cosiddetti spiritisti, occultisti, “teosofi” ed altri contemporanei abilissimi a “pescare nel torbido” e a parlare a vanvera di “corpo astrale”, “corpo mentale” o di altri presunti corpi dell’uomo, conserva tutto il suo valore per illustrare la questione che stiamo esaminando. Considerato come un tutto, l’uomo, con le sue diverse localizzazioni dal funzionamento distinto, ovvero con le sue varie “personalità” formate ed educate indipendentemente una dall’altra, presenta un’analogia quasi perfetta con un veicolo destinato al trasporto di un passeggero e composto da carrozza, cavallo e cocchiere.

Anzitutto bisogna notare che la differenza fra un vero uomo ed uno pseudo-uomo, cioè tra l’uomo che ha l’Io e quello che non ce l’ha, in questo paragone è resa esplicita dal passeggero seduto in carrozza. Nel primo caso, quello del vero uomo, il passeggero è il padrone, il proprietario della carrozza, mentre nel secondo è un passeggero casuale che cambia ogni momento, come il cliente di una vettura di piazza. Il corpo fisico dell’uomo, con le sue manifestazioni riflesso-motorie, corrisponde pari pari alla carrozza; l’insieme del funzionamento e delle manifestazioni del sentimento corrisponde al cavallo che è attaccato alla carrozza e la tira; il cocchiere seduto a cassetta che guida il cavallo rappresenta ciò che la gente chiama “conscio” o “pensiero”; infine, il passeggero che è seduto in carrozza e che dà ordini al cocchiere viene detto “Io”. La sfortuna degli uomini contemporanei deriva essenzialmente dal fatto che, grazie agli assurdi metodi usati ovunque per educare le giovani generazioni, la quarta personalità, che dovrebbe essere presente in ogni uomo appena raggiunta l’età responsabile, è del tutto assente, sicché tutti, o quasi, possiedono solo le prime tre parti già descritte che, per giunta, si sono formate a casaccio e da sole. In altri termini, gli uomini contemporanei d’età responsabile sono giusto l’analogo di una “vettura di piazza”: e che vettura!… La carrozza sgangherata ha ormai fatto il suo tempo… fra le stanghe c’è un vecchio ronzino… e a cassetta un vetturino rincitrullito, mezzo addormentato e mezzo ubriaco, che, perso in fantasticherie, trascorre il tempo assegnatogli da Madre Natura per il perfezionamento di sé ad aspettare un passeggero occasionale all’angolo della strada. Infatti chiunque lo paga dispone di lui come vuole, e non solo di lui ma di tutte le parti del tiro a lui sottomesse. Continuando l’analogia fra il tipico uomo contemporaneo con tanto di corpo, sentimenti e pensieri, e una vettura di piazza con carrozza, cavallo e cocchiere, è chiaro che in ogni parte costituente i due termini del confronto devono formarsi abitudini, bisogni e gusti nettamente definiti e propri a lei sola. Infatti, in base alla diversa origine, alle diverse condizioni formative e alle diverse possibilità specifiche, ognuna possiederà necessariamente un proprio psichismo e proprie nozioni, regole soggettive, punti di vista, e così via. L’insieme delle manifestazioni del pensiero umano, con tutto quanto è inerente al suo funzionamento e tutte le sue particolarità specifiche, corrisponde sotto quasi tutti gli aspetti all’essenza e alle manifestazioni di un tipico vetturino di piazza. Come tutti i vetturini in genere, costui corrisponde al tipo “Leo Patacca”. Non è completamente analfabeta, perché, data l’ “istruzione pubblica obbligatoria” in vigore nel suo paese, egli nell’infanzia ha dovuto di tanto in tanto consumare il fondo dei pantaloni sui banchi della scuola annessa alla parrocchia. Per quanto egli venga dalla campagna e sia ancora ignorante come i suoi compaesani rimasti al villaggio, tuttavia, portato dalla sua professione a bazzicare gente di un altro livello educativo e sociale, ha raccolto qua e là tutta una serie di frasi fatte contenenti le più svariate nozioni, ed ora guarda dall’alto in basso con totale disprezzo qualunque cosa sappia di campagnolo, tacciandola sdegnosamente di “oscurantismo”. Insomma, è un tipo al quali si adatta perfettamente l’adagio:”Una cornacchia non sarà mai un pavone!” Egli si considera competente persino in religione, politica o sociologia. Coi suoi pari gli piace discutere; con chi considera inferiore, discetta; coi superiori è adulatore e servile, e davanti a loro “si butta in ginocchio”. Correre dietro le fantesche o alle cuoche del quartiere è una delle suo occupazioni preferite. Ma soprattutto adora centellinarsi un paio di bicchieri dopo una buona scorpacciata, dopodiché, completamente sazio e annebbiato, si mette a sognare…

Per soddisfare questi vizietti, egli sottrae regolarmente un po’ del denaro che il padrone gli dà per foraggiare il cavallo. In nostro Meo Patacca, come ogni buon mercenario, marcia solo a suon di bastonate, e se mai fa qualcosa senza essere spronato, vuol dire che si aspetta una mancia. Poco per volta, l’avidità della mancia l’ha portato ad accorgersi di alcune debolezze nella gente che bazzica e a trarne profitto, e automaticamente ha imparato ad agire con astuzia, ad adulare, a lisciare il pelo: in una parola, a mentire. Appena ha un momento libero e una buona occasione, si infila in un caffè o un bar e ci resta per ore, vaneggiando davanti ad un bicchiere di vino e chiacchierando con qualche suo pari, o leggendo il giornale. Per darsi l’aria importante porta la barba e se è smilzo si fa imbottire la giacca per sembrare imponente.

Il cavallo, trascurato da tutti nei suoi primi anni e lasciato continuamente da solo, si è in qualche modo rinchiuso in sé stesso; in altri termini, la sua “vita interiore” è stata soffocata mentre le sue manifestazioni esterne avvengono solo per forza d’inerzia. A causa delle anormali condizioni circostanti, esso non ha mai ricevuto un’educazione speciale, anzi è cresciuto e si è formato esclusivamente sotto l’influenza di bastonate brutali e di urla continue. Legato continuamente in pastoie, per cibo non ha mai ricevuto fieno o avena ma sempre e solo paglia, che non risponde affatto ai suoi bisogni reali. Non avendo mai percepito in alcuna manifestazione dell’ambiente che lo circonda un segno anche di tenerezza o di amicizia, ora il cavallo è pronto a dare tutto sé stesso a chiunque gli faccia una piccola carezza. Le tendenze di un cavallo del genere, privo di qualsiasi aspirazione o interesse, debbono inevitabilmente concentrarsi sul mangiare, sul bere e su un’attrazione automatica per l’altro sesso; perciò si aggira sempre nei paraggi in cui può soddisfarle, e se per caso vede il luogo dove uno dei suoi bisogni è stato appagato anche una sola volta, non aspetta che il momento propizio per correrci ancora. Bisogna aggiungere che il cocchiere, per quanto limitato nella comprensione dei suoi doveri, è ancora capace di pensare in modo vagamente logico e, per timore di perdere il posto o con la speranza di una ricompensa, ogni tanto, pensando al domani, ha l’impulso di fare qualcosa per il suo padrone senza esservi letteralmente costretto. Il cavallo invece, nel quale, per l’assoluta mancanza dell’educazione speciale adatta alla sua natura, non si sono formati a tempo debito i dati necessari a manifestare le manifestazioni proprie di un’esistenza responsabile, non è in grado di capire perché dovrebbe far qualcosa, né ci si può aspettare che lo capisca. Esso infatti compie il suo dovere per inerzia e lavora solo per paura di un’altra scarica di bastonate.

Quanto alla carrozza, che nella nostra analogia corrisponde al corpo isolato dalle altre parti indipendenti della presenza generale dell’uomo, la sua situazione è ancora peggiore. La nostra carrozza, come tutte le carrozze, è fatta di vari materiali, e la sua struttura è complicatissima, perché è stata concepita – com’è evidente a chiunque abbia un po’ di giudizio – per il trasporto di qualsiasi carico e non secondo l’uso che se ne fa oggi, per il solo trasporto di clienti occasionali. Le innumerevoli disfunzioni di cui è vittima sono causate principalmente dal fatto che i costruttori, avendola destinata a percorrere strade sterrate, avevano ideato appositamente allo scopo certi particolari interni della sua struttura. La lubrificazione ad esempio – esigenza prioritaria in un veicolo costruito con materiali diversi – è concepita in modo che l’olio possa distribuirsi in tutte le parti metalliche proprio grazie alle scosse e ai sobbalzi inevitabili sulle strade sterrate. Invece ormai la carrozza, destinata a stradine di campagna, è quasi sempre ferma in città, e quando viaggia percorre solo viali asfaltati e lisci come biliardi. Senza i sobbalzi, il lubrificante non si distribuisce alle varie parti in maniera uniforme, sicché alcune finiscono per arrugginire diventando inservibili per la funzione loro assegnata. Una carrozza va bene, in linea di principio, quando le sue parti mobili sono ben oliate, mentre quando non lo sono abbastanza si scaldano e si arroventano danneggiando i pezzi vicini. Peraltro se in qualche punto il lubrificante è eccessivo, l’andatura della carrozza è squilibrata. In un caso come nell’altro, il cavallo incontra difficoltà sempre maggiori nel traino. Il cocchiere contemporaneo, il nostro Leo Patacca, non sa e non sospetta nemmeno che sia necessario lubrificare la carrozza, e anche se provvede alla bisogna lo fa senza un’idea precisa, per sentito dire, seguendo alla cieca i suggerimenti del primo venuto.

Di conseguenza la carrozza, ormai più o meno adatta alle strade lisce, quando per una ragione qualunque deve avventurarsi in strade accidentate subisce sempre qualche avaria: o salta un dado, o si piega un bullone… insomma, c’è sempre qualcosa che si sfascia; ed è raro che dopo un’avventura del genere il viaggio termini senza necessità di riparazioni più o meno ingenti. Insomma, oggi è diventato pericoloso usare la carrozza allo scopo a cui in origine era destinata. Al momento di ripararla, bisogna innanzitutto smontarla completamente, esaminare i pezzi a uno a uno e, come sempre in simili casi, metterli a bagno nella benzina per pulirli accuratamente prima di rimontare tutto. Molto spesso, del resto, si rivela urgente sostituire un pezzo importante: cosa non grave quando si tratta di un pezzo non molto costoso; ma capita a volte che la riparazione sia più cara di una vettura nuova. Orbene, è chiaro che quanto abbiamo detto sulle diverse parti il cui insieme costituisce una “vettura di piazza” si applica esattamente all’organizzazione generale della presenza dell’uomo. Mancando nei nostri contemporanei la minima conoscenza e capacità di preparare gli adolescenti in modo appropriato a un’esistenza responsabile mediante un’educazione specifica delle diverse parti che compongono la loro presenza generale, oggigiorno ogni individuo è qualcosa di assurdo e tragicomico al massimo che, per riprendere il nostro esempio, offre un quadretto di questo genere. La carrozza è proprio l’ultimo modello appena uscito di fabbrica e verniciato da autentici carrozzieri tedeschi della città di Brema. Tra le stanghe, c’è una specie di cavallo che in Transcaucasia la gente chiamerebbe “dglozidzi”: dove “dzi” vuol dire cavallo,e Dgloz è il nome di un Armeno specializzato nell’acquisto di ronzini da scuoiare. A cassetta della splendida carrozza siede un cocchiere sonnolento, mal rasato e irsuto, vestito di una marsina unta e bisunta – ricuperata nella pattumiera dove l’ha gettata come uno straccio la sguattera Petronilla – un cappello a cilindro nuovo fiammante in testa, copia esatta di quello di Rockefeller, e all’occhiello un immenso crisantemo. È inevitabile che l’uomo contemporaneo presenti un aspetto così ridicolo perché sin dal primo giorno della sua comparsa, le tre parti che si formano in lui – e che pur essendo di origine diversa e dotate di qualità distinte tuttavia, al fine di perseguire un unico scopo durante l’esistenza responsabile, devono costituire nell’insieme il suo “tutto integrale” – cominciano a “vivere” isolatamente, per così dire, e a rinchiudersi ognuna nelle proprie manifestazioni specifiche, in quanto nessuno le ha mai addestrate neppure al comportamento indispensabile e automatico di sostenersi, aiutarsi e comprendersi reciprocamente, almeno in modo approssimativo, col risultato che in seguito le previste manifestazioni d’insieme non possono prodursi. Grazie al “sistema educativo” delle nuove generazioni, già ben fissato nella vita dell’uomo – e il cui unico principio consiste nell’obbligare gli allievi a ripetere, fino a completo abbrutimento, una quantità di parole e di espressioni prive di senso, e a far loro riconoscere, solo attraverso la differenza dei suoni, la realtà che si presume essere indicata da tali parole – il cocchiere è ancora più o meno capace di spiegare a gente del suo stesso tipo il desiderio ch’egli prova, e talvolta è persino capace di comprendere vagamente i suoi simili. Chiacchierando con gli altri vetturini mentre attende i clienti o corteggiando sulla soglia della cucina le servette del vicinato, il nostro Patacca ha persino assimilato alcune forme di “galateo”. Egli, in base alle condizioni in cui si svolge di solito la vita dei vetturini, ha acquistato automaticamente la capacità di distinguere una via dall’altra, e se una strada è chiusa per lavori, è in grado di escogitare qualche altro percorso per raggiungere l’indirizzo richiesto. Ma il cavallo!… È ben vero che la funesta invenzione contemporanea detta “educazione” non è arrivata fino a lui, e così vengono preservate dall’atrofia le sue facoltà ereditarie; ma formandosi nelle anormali condizioni del processo di esistenza ordinaria degli uomini, esso cresce come un orfano, dimenticato da tutti, anzi bistrattato e senza la possibilità di acquisire alcuno strumento di comunicazione con lo psichismo specifico e le conoscenze del suo cocchiere sicché, ignorando completamente le forme di relazioni reciproche a lui consuete, in definitiva non si stabilisce tra i due alcun contatto che permetta loro di capirsi. Tuttavia può succedere che il cavallo, pur conducendo una vita rinchiusa in se stessa, riesca a scoprire qualche forma di relazione col cocchiere e persino a familiarizzarsi un po’ col suo “linguaggio”; ma purtroppo il cocchiere ignora tutto ciò, anzi lo ritiene addirittura impossibile. Oltre al fatto che queste condizioni anormali impediscono la formazione dei dati necessari a una reciproca comprensione automatica, sia pure limitata, tra il cavallo e il cocchiere, molte altre ragioni esteriori e indipendenti da loro rendono vana qualsiasi possibilità che entrambi concorrano insieme all’unico fine cui sono destinati. Infatti, come le diverse parti indipendenti di una carrozza a cavalli sono collegate tra loro – il carro al cavallo con le stanghe, il cavallo al cocchiere con le briglie – così tutte le parti distinte dell’organizzazione generale dell’uomo sono collegate tra loro: il corpo al sistema del sentimento mediante il sangue, e il sistema del sentimento a quello del pensiero mediante il cosiddetto “hanblezoin”, sostanza che si forma nella presenza generale dell’uomo a partire da tutti gli sforzi esserici compiuti intenzionalmente. Il deplorevole sistema educativo contemporaneo ha determinato l’incapacità del cocchiere di avere la benché minima influenza sul cavallo, ed è già molto se per mezzo delle briglie costui può suscitare nel conscio dell’animale queste tre idee: destra, sinistra e alt. La non sempre ci riesce, perché generalmente le briglie sono fatte di materiale sensibile ai fenomeni atmosferici: per esempio sotto una pioggia battente si ammollano e si allungano, mentre quando fa caldo accade il contrario; quindi la loro azione sulla sensibilità automatica di percezione del cavallo è incostante. La stessa cosa si produce nell’organizzazione generale dell’uomo ordinario tutte le volte che, sotto l’effetto di un’impressione qualunque, si modifica in lui ciò che potremmo chiamare “la densità e il ritmo del hanblezoin”, col risultato che il suo pensiero perde ogni possibilità di agire sul sistema del sentimento. Dunque, per riassumere quanto detto sin qui, ci tocca riconoscere, volenti o nolenti, che ogni uomo deve sforzarsi di avere il proprio “Io”, altrimenti non sarà mai che una “vettura di piazza” su cui qualsiasi passeggero può prendere posto per disporre di lui a suo talento. Non mi pare superfluo sottolineare a questo punto che l’Istituto per lo Sviluppo Armonico nell’Uomo si è dato, tra gli altri suoi obiettivi fondamentali, da un lato quello di educare nei suoi allievi, anzitutto separatamente e poi nei rapporti reciproci, secondo i bisogni della vita soggettiva futura di ognuno, le tre personalità indipendenti di cui abbiamo parlato; e dall’altro di generare e sviluppare in ogni allievo ciò che chiunque porti il nome di uomo-senza-virgolette dovrebbe avere, ossia il proprio “Io”.


Rendere attiva l’essenza

di Josè Reyes 

6 ottobre 2010

3ème Millénaire n.87 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini

3m. Se osservo il mio comportamento durante le attività della giornata, costato a che punto sono reattivo, in reazione. In più queste reazioni sono molto spesso negative: paura, collera o irritazione, resistenza a ciò che mi è chiesto, inerzia, tensioni fisiche! Sono totalmente identificato in quegli stati…E’ questa la realtà?

J.R. Si, è la realtà. Generalmente guardiamo il mondo e gli eventi secondo il colore delle nostre lenti. Possiamo perciò veramente dire che è la realtà, ma bisogna precisare che si tratta di una realtà soggettiva. Per vedere che cosa è reale, non dobbiamo essere identificati. Infatti l’identificazione impedisce il contatto con la realtà e diventiamo la nostra propria realtà soggettiva. In altre parole, le mie emozioni negative per me sono vere, finché sono identificato con loro.

La prima cosa da vedere prima di essere capaci di distinguere la realtà, è quella di trovarci in uno stato di separazione a partire dal quale si può spingere il nostro centro di gravità verso l’osservatore, che è un processo sociologico che non è centrato né nei pensieri, né nei sentimenti, né nelle sensazioni. E’ il significato del lavoro su di sé, per il quale cominciate a discriminare due stati di comportamento. Il primo è quello in cui siete completamente assorbiti da un pensiero, un sentimento o una sensazione (e diventate uno con quel pensiero, quel sentimento, quella sensazione); nel secondo, potete vedere nello stesso tempo lo stato in cui siete e voi stessi.

3m. Essere a un livello d’osservazione attraverso cui possiamo vedere noi stessi e al tempo stesso il nostro comportamento è insolito nella vita ordinaria. Come posso sperimentare questo stato d’essere specifico nella mia vita quotidiana? C’è una strada da seguire?

J.R. Si, dovete diventare un uomo n.4. Finché siete un uomo 1, 2 o 3*, la vostra osservazione di voi stessi sarà sempre colorata dalla percezione del centro dove si trova stabilito il vostro centro di gravità. Il modo in cui vediamo il nostro comportamento è dunque sia attraverso il centro intellettuale sia attraverso le emozioni. Gurdjieff diceva che la percezione con un solo centro è follia, con due centri è allucinazione.

Secondo il nostro Insegnamento (la Quarta Via) l’uomo n. 4 è quello che, grazie al lavoro su di sé ha raggiunto uno stato d’equilibrio dei 3 centri. Questo significa che le sue funzioni sono ora coordinate armoniosamente per potere nutrire l’essenza. Così diventa maturo rispetto alle sue emozioni.

Per chiarire ciò che si sta dicendo, si può fare un’analogia con una casa: lasciata nel caos più totale il cui padrone è assente e dove ogni domestico si chiama Io. Questa casa ha tre livelli. I servitori più intelligenti decidono di eleggere uno di loro al quale tutti devono ubbidire. Questo servitore si chiama anche lui Io, ma non è ancora il vero Io. Comincia a imparare l’Insegnamento, il Lavoro, il funzionamento della casa e realizza che non è che è un amministratore temporaneo, ma non il vero amministratore. Solo quest’ultimo può dirigere la casa e preparare il posto per la venuta del vero Io.

La seconda tappa è quella che chiamiamo l’osservazione di sé, che è l’inizio della comprensione di sé. Questo osservatore è il vero amministratore ed è con l’osservazione che pratica che può cominciare a rafforzare la capacità di separazione tra i me ordinari che abitano ciascuno dei centri. Così prepara la casa all’arrivo dell’Io reale.

3m. Questo insegnamento ricorda la nozione della falsa e vera personalità. Qual è la differenza tra le due personalità? Per andare più lontano, per diventare un uomo n. 4 occorre la scomparsa della falsa personalità? Come la falsa e la vera personalità si legano alla molteplicità dei me, all’amministratore provvisorio e al vero Io?

J.R. C’è una grande differenza tra falsa e vera personalità. La falsa personalità ha una relazione molto ampia con l’ego della persona. Noi agiamo in modo che la gente non dica male di noi, oppure ci comportiamo in modo tale che non pensino che bene di noi.

La personalità pretende e cerca in permanenza d’essere quello che non è. Questo è chiamato la nullità, perché si tratta di un’immagine di noi stessi che abbiamo costruito, basata interamente sull’immaginazione. Con la falsa personalità vogliamo sempre che la gente ci dia valore per qualcosa che non siamo. Mentiamo su noi stessi agli altri e crediamo alle nostre menzogne.

La falsa personalità è molto difficile da distruggere, perché la maggior parte delle abitudini contratte dai centri è stata creata dalle loro scappatoie e vi corrispondono.

La personalità, riguardo a lei, non è totalmente negativa, non esiste solo a nostro svantaggio; al contrario, è necessaria, ma al posto giusto. La personalità è il nostro sapere, la nostra esperienza, l’addestramento che abbiamo ricevuto, il modo in cui ci prendiamo in carico, e quella in cui rispondiamo alle esigenze della vita. Il problema è che questa personalità agisce nella vita senza partecipazione della nostra essenza. Per ogni attività della giornata lei prende l’iniziativa. La sede della personalità è situata nell’apparecchio formatore*, e questo ha per conseguenza che essa utilizza parole o argomenti in risposta alle situazioni nelle quale ci pone la vita.

La Quarta Via ci procura dei mezzi che possiamo utilizzare per ribaltare la situazione, in altre parole permettere all’essenza di diventare attiva e di rendere passiva la personalità. Questo affinché l’essenza possa usare la personalità secondo le necessità del momento, secondo quanto è richiesto in una data situazione. E’ la tappa dell’uomo n.4 nel quale i centri sono equilibrati. Ciò significa che l’iniziativa nella sua totalità è presa dal vero Io. A questo livello l’ego non detta più il suo comportamento alla persona. L’ego scompare giacché la persona non vive più in apparenza e la nullità non ha più bisogno di pretendere d’essere, poiché la persona “è”.

I diversi me vengono dai centri. Ci sono me intellettuali, emozionali e psichici. Questi me nella loro molteplicità sono chiamati i servitori della casa. L’amministratore transitorio è uno di quei me, generalmente situato  al livello del centro intellettuale ed è lui che impara il Lavoro e cerca di applicarlo. Ma manca di forza ed è particolarmente debole quando due o tre altri me arrivano insieme e non si assoggettano a tutto quello che il Lavoro può dire di fare.

D’altra parte, il vero amministratore non è più uno dei me. Egli è prodotto dall’osservazione di sé e deriva dallo sguardo  sulla realtà della nostra imparzialità. Non è fatto dello stesso materiale dei me inferiori che non dispongono di un reale controllo sui centri. L’amministratore invece ha un controllo totale sul funzionamento di ciascuno dei centri, per l’energia prodotta dal ricordo di sé. Per questo è detto che prepara la casa per l’arrivo del vero Io, il suo vero proprietario.

3m. Il processo che descrivete conduce all’idea di una scala nei livelli di realtà, cioè dove ciascuno sperimenta la realtà secondo il suo livello. Questi livelli si riferiscono a energie di sottigliezza variabile, come per esempio quella derivata dal ricordo di sé?

J.R. Si, la realtà è percepita in funzione del livello di energia che siamo capaci di produrre, di nutrire e di mantenere.

Se applichiamo questo alla nostra vita quotidiana, possiamo facilmente costatare che il nostro umore dipende molto dall’energia di cui disponiamo secondo i momenti. Quando siamo contenti, tutto appare come su un letto di rose, ma quando siamo di cattivo umore, non abbiamo che le spine.

Ogni energia ci dà una capacità più o meno grande di percepire la realtà, che può essere altamente soggettiva per quelli il cui livello di energia è così basso che non vedono altro che il proprio stato.

E’ il caso dell’uomo macchina che vede le cose unicamente con l’energia automatica. Il livello seguente è quello della libera sensibilità, in cui diventate sensibili alle impressioni e coscienti di voi mentre le ricevete. Così non siete solo nell’atto di ascoltare, ma udite, non state solo guardando, ma vedete, non state solo mangiando, ma avete anche il gusto di ciò che mangiate. Non toccate solamente, ma  sentite ciò che toccate. Perché disponete di un’energia nuova, più organizzata dell’energia automatica, quella unicamente basata sulle reazioni, l’essere attirati o il rigetto, il fatto di amare o non amare questo o quello. Al livello della sensibilità, cominciate a essere il padrone delle vostre impressioni. Il livello energetico seguente è quello dell’energia cosciente, in altre parole è il processo cosciente al quale partecipate e per il quale cominciate a dare senso e significato alla vostra vita L’energia cosciente è molto speciale. Contrariamente a quelli che dicono “sono cosciente”, è più appropriato dire che partecipo alla coscienza.

Note.

“ Gli uomini n.1, 2, 3 costituiscono l’umanità meccanica, sono al livello di quando sono nati. L’uomo n.1 ha il centro di gravità della sua vita psichica nel centro motore… L’uomo n.2 nel centro emozionale… L’uomo n.3 nel centro intellettuale… L’uomo n.4 ha un centro di gravità permanente, in lui un centro non può avere sugli altri una preponderanza.”( P. D. Ouspensky. Frammenti di un Insegnamento sconosciuto).

Apparecchio formatore. “La parte meccanica del centro intellettuale porta un nome speciale. Se ne parla a volte come di un centro separato e in quel caso è chiamato apparecchio formatore. Una delle particolarità è che non può paragonare che due cose, non può pensare che in termini di estremi e cerca subito il contrario”( Ouspensky).